Grandissimo ritorno sulla scena dei Labyrinth! Sono passati quasi tre anni di distanza dall'ultimo, controverso, “Sons of Thunder”, e il ritorno ai nomi italiani originali da parte dei membri della band non è l'unica novità. Diverse cose sono cambiate. Alcuni problemi contrattuali hanno costretto il gruppo a un riposo forzato durato molti mesi, e ciò ha causato l'abbandono di uno dei membri fondatori, quell'Olaf Thorsen che non ha certo bisogno di presentazioni. Di fronte a questa difficile situazione i Labyrinth non si sono di certo arresi, reagendo nel migliore dei modi. La scelta di chiamare il disco semplicemente “Labyrinth” denota il forte senso di coesione che si è venuto a creare all'interno della band, un'impressione che il disco conferma in pieno. Il songwriting è fresco e ispirato, le canzoni sono estremamente dirette e potenti. L'etichetta “Power Metal” va decisamente stretta a quello che troviamo sul disco: i cinque ragazzi mettono davvero in musica quello che sentono dentro, senza preoccuparsi di prendere le distanze dai tipici clichè del genere. Rispetto al passato si nota una maggiore sperimentazione, specialmente a livello tastieristico, con l'utilizzo di sonorità inedite per il gruppo, hammond in primis. Tra le novità va sicuramente sottolineata la presenza di una forte componente elettronica, che rimanda al debut album del gruppo (“No Limits”) e che negli ultimi dischi era venuta un po' a mancare. Ciò è particolarmente evidente nell'ultima track, la ballad “When I Will Fly Far”. La prestazione del gruppo è convincente sotto ogni punto di vista, strumentalmente impeccabile e con un Tiranti sovraumano dietro al microfono. A differenza dei due precedenti dischi, i testi di “Labyrinth”, dei quali sono autori Tiranti e De Paoli, non fanno parte di alcun concept. Tra i migliori episodi del disco vanno menzionate la tellurica “Just Soldier (Stay Down)”, al limite del Thrash, la splendida “Hand in Hand”, ricca di influenze Progressive e caratterizzata da linee vocali splendide, la melodica “Livin' in a Maze”, nella quale si respira un'atmosfera che ricorda da vicino il celebre “Return to Heaven Denied”, e “Synthetic Paradise”, che dopo un intro di stampo elettronico si tuffa in una coinvolgente ed entusiasmanete cavalcata. Una nota a margine merita la produzione. Il disco è stato masterizzato agli House of Audio Studios in Germania, gli stessi a cui si sono rivolti gli Angra per “Rebirth”: se il precedente “Sons of Thunder” era stato pesantemente penalizzato sotto questo punto di vista, il lavoro svolto su “Labyrinth” è decisamente buono, al livello delle migliori uscite mondiali. Siamo sicuramente di fronte ad una delle uscite più importanti del 2003, ed è un grande sollievo che un gruppo di questo valore sia riuscito a superare i problemi che rischiavano di relegarlo per sempre al limbo delle “promesse mancate”. I Labyrinth sono una grande realtà del metallo Made in Italy, e questo disco ne è la conferma più scintillante.
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