Un approccio spiccatamente teutonico (primi Running Wild ed Helloween, Risk, Warrant) con un taglio maideniano ("Hellish War") e talvolta epico, ma con una resa sonora deficitaria che tradisce l'opera di recupero per i due album, "Defender of Metal" (2001) e "Heroes of Tomorrow" (2008) che, con l'aggiunta di un paio di inediti, compongono la discografia dei brasiliani
Hellish War.
Ingenui ma metallari quanto basta - e forse anche di più - gli Hellish War si sono formati addirittura nel 1995, arrivando poi all'esordio per la locale Megahard con un lavoro dove si fanno apprezzare nelle composizioni più articolate, come "The Sign" o "Gladiator", canzoni purtroppo non sostenute da una registrazione all'altezza e da una prova vocale non particolarmente brillante da parte di Roger Hammer, mentre si fanno notare in maniera ben più positiva i due chitarristi Vulcano e Daniel Job.
Gli Hellish War, con una nuova sezione ritmica ad accompagnare i tre musicisti appena citati, si ripresentano poi ben sette anni dopo con quel "Heroes of Tomorrow" che mostra indubbi miglioramenti, nel suono (finalmente professionale) ma pure nel songwriting, grazie a canzoni sempre piuttosto lunghe ma ora meno dispersive, per quanto ancora fortemente influenzate da Running Wild ("Die for Glory" e "Reasons") e soci. Chi invece continua a non convincere del tutto è Roger Hammer, non particolarmente potente e dinamico, esente da evidenti strafalcioni tuttavia non in grado di far esplodere buoni episodi come "Metal Forever" e "Awaken" o di suscitare pathos ("My Freedom") ed enfasi epica ("Heroes of Tomorrow").
Gli Hellish War meritano sicuramente una chance, ma sarebbe stato meglio che la Pure Steel Records fosse uscita con qualcosa di nuovo e di qualità superiore, sopratutto ripensando a "Defender of Metal", prima di andare a recuperare il loro passato.
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