Questo è un disco pieno di
significato. Innanzi tutto per suoi autori, i
KeeN di Sulmona, rappresenterà per sempre
anche il ricordo di un momento terribile, visto che esso stava assumendo la sua forma compiuta proprio nel giorno in cui il terremoto ha colpito così duramente la loro terra. Il mix del Cd si è interrotto il 6 d’aprile e la scelta del gruppo è stata quella di non rimaneggiarlo ulteriormente, di lasciarlo così com’era alle 3,32 di quella notte, non per renderlo un’icona o per trasformarlo in un masochistico feticcio del rimpianto per quello che c’era e ora non c’è più, ma perché quella tragedia rimanga in tal modo fissata ancor di più nella
memoria, una faccenda spesso trascurata dai nostri tempi sempre più convulsi e schizofrenici.
Al di là dell’inevitabile empatia per queste situazioni e del dibattito che si potrebbe aprire su cause e responsabilità concernenti i drammatici effetti scatenati da questi fenomeni sul nostro territorio, quello che interessa
maggiormente il nostro ruolo di
freddi e
distaccati recensori è, però, il
significato artistico di “Broken hearts museum”, quarta autoproduzione dei nostri abruzzesi.
Ebbene, non posso che entusiasmarmi ancora una volta per il valore intrinseco di questi trentacinque minuti di musica che seguono l’illuminato percorso intrapreso dai KeeN dal 2003 e che li ha condotti ad essere oggi una delle band più credibili e preparate nell’ambito di quell’amplesso psicotico tra meccanici suoni industrial, efferatezza (black) metal, suggestioni gothic-dark e spigliatezze electro-pop.
Insomma una band che, se apprezzate Rammstein, The Kovenant, Marilyn Manson e Deathstars, dovrebbe diventare (se non lo ha già fatto!) una protagonista dei Vs. ascolti quotidiani, apparendo, e tengo a ribadirlo, come un’entità artistica praticamente priva di debolezze, prima di tutto dal punto di vista
musicale e poi anche sotto il profilo
concettuale ed
estetico, adeguatamente provocanti e provocatori.
Cosa manca, dunque, ai KeeN per abbandonare lo status di
eccellente unsigned-band, gratificante fino ad un certo punto? Sinceramente non saprei cosa rispondere, e se andiamo nello specifico del contenuto del Cd in analisi, cosa si può oggettivamente rimproverare a pezzi come “Psychoplasmia”, “Power of pain”, “Somebody says goodbye”, “Broken hearts museum” e “Ars amatoria”, fascinosi, conturbanti, intensi e coinvolgenti?
E ancora a “Brutaliteens” e “Beautifool”, se non, forse, qualche irrisoria imprecisione negli intrecci vocali, che in ogni caso non limita oltremodo le loro evidenti qualità?
Probabilmente quello che serve è una produzione davvero esplosiva (ricordiamo, tuttavia, che stiamo analizzando un prodotto “artigianale” e per di più “interrotto” nel completamento delle fasi di registrazione), ma questa, come le piccole carenze succitate, sono cose a cui un attento e preparato professionista del business discografico potrebbe ovviare con facilità. Quello che non è così semplice da reperire, invece, è la forza espressiva, la raffinatezza (un fattore che mi sembra persino cresciuto rispetto al precedente “Dramas in formaldehyde”) e la personalità, aspetti così rari ed eloquenti, che abbondano nella natura di quest’interessantissima realtà italiana.
E così arriviamo ad augurarci, come ormai accade puntualmente con i lavori dei KeeN, che tutti questi elementi possano essere finalmente
sintomatici anche per qualcuno di quegli operatori del disco che abbiamo da poco menzionato (magari proprio per l’agognata Nuclear Blast, eh!), aggiungendo alla serie dei
significati presenti pure quello di un affrancamento dall’underground … questi ragazzi meritano un’occasione importante, e la aspettano già da troppo tempo.