Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2009
Durata:36 min.
Etichetta:Los Pirates Records
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. INTRO
  2. COAST OF THE CARIBBEAN
  3. TIMELESS DREAMS
  4. THE RETURN OF THE CAPTAIN WOODHEAD
  5. MY FRIEND, THE SLAVE
  6. PIRATE'S ISLAND
  7. WE DECLARE
  8. ANOTHER EMPTY BOTTLE

Line up

  • Andy Brevi: vocals
  • Giorgio "Spugna" Bonacorsi: bass
  • Angelo "Nottola" Berlendis: guitars
  • Davide "Ghera" Gherardi: guitars
  • Gionni "Ranocchio" Grey Gomez: drums

Voto medio utenti

"Quindici uomini sulla cassa del morto,
yo ho ho! E una bottiglia di rum"


Ultimamente tornata di moda al cinema (con la trilogia de "I Pirati dei Caraibi" con il Capitano Jack Sparrow) e anche nei vasti oceani della scena Heavy Metal (Alestorm, Swashbuckle, Skull Branded Pirates o i Verbal Deception) la pirateria approda anche dalle nostre parti.
Già, i bergamaschi Los Pirates, che ricordo aver incrociato qualche anno fa sulla raccolta "Noisy Hours: Indigestible Sounds", hanno da poco realizzato il loro primo album, intitolandolo "Heavy Piracy".
Una evidente dichiarazione di intenti, eppure al di là di tutte le premesse, i Los Pirates si rivelano come una formazione che non fa si che siano i facili cliché ed i coretti accattivanti a tirare loro la volata.
Per "Heavy Piracy" si affidano piuttosto ad un feeling retrò, che veleggia tra la N.W.O.B.H.M. (la ritmata "Coast of the Caribbean", "Pirate's island" o "We Declare") ed alcuni passaggi che guardano invece ai Black Sabbath (sopratutto nel caso di "Timeless Dreams"), mentre le influenze del Power Teutonico risultano inferiori alle previsioni.
Poco spazio quindi per la goliardia, relegata a qualche coretto qua e là ("The Return of Captain Woodhead") ed all'intro che mi fa tornare in mente il vecchio game "The Secret of Monkey Island".
I Los Pirates emergono da questo lavoro come un gruppo solido, in grado di dare vita ad una bella manciata di canzoni con una convincente prova complessiva, su tutti quella del cantante Andy Brevi, voce potente ma anche versatile, e lo dimostra, ad esempio sulla cangiante "My Friend, the Slave" (dove duetta con l'ospite Anastasia Shalasheva) o nella conclusiva "Another Empty Bottle", uno degli episodi più rappresentativi del disco, brano che nell'alternare momenti lenti ed intensi ad altri brucianti ed esasperati, ricorda certi Metallica, anche se è indubbio che alcuni passaggi affondino le loro radici in un sound più doomeggiante e seventies.

My friend, the slave ... of Metal!
Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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