Sono russi, fanno black metal sinfonico e si occupano di interessanti tematiche sull'occulto e sullo spazio nella sua accezione più fantascientifica. I presupposti per ascoltare un buon album, particolare e perché no originale e fresco, c'erano tutti, vista soprattutto la giovane età dei componenti della band e la nazione d'origine, non certo rinomata per questo tipo di sonorità; purtroppo le aspettative non trovano riscontro nell'ascolto. Non è certo la tecnica a mancare ai ragazzi in questione, ma la lucidità che avrebbe dovuto permettere loro di proporre un disco vario e godibile. Ogni canzone infatti, presa singolarmente risulta interessante, non certo originale, ma comunque meritevole d'ascolto, soprattutto visto che i Nostri sono solo al secondo album; ma la piattezza dell'insieme è veramente preponderante su tutto il resto. Il problema è che quando una band vale davvero, lo si vede già dai primi "vagiti", e qui si capisce che non ci troviamo di fronte ad una rivelazione dell'ambito estremo, bensì all'ennesima clone-band dei Dimmu Borgir o Dei Cradle of Filth. Riuscire ad ascoltare completamente quest'album, risulta difficoltoso e snervante, proprio per la vacuità dello stesso: composizioni che riprendono pedissequamente gli schemi triti e ritriti del black sinfonico, a partire dagli stacchi "melodiosi" di tastiera, fino alle sfuriate più black. Sin dalla prima traccia sono evidenti le influenze già citate dei Dimmu Borgir o dei Cradles, non ancora ben assimilate e spesso tanto simili da far gridare al plagio; quando c'è la tecnica individuale, non c'è nulla di peggio che sedersi sugli allori e sfruttarla al massimo, senza riuscire a trasmettere del pathos all'ascoltatore; il pathos, quella sensazione che si prova quando si ascolta un disco dei Bathory, la prova che la tecnica e le superproduzioni sono nulla senza la passione e il coinvolgimento di chi vuole davvero trasmettere le proprie emozioni. "Quaerite Lux In Tenebris" è dunque un disco che si lascia ascoltare, magari mentre si è intenti a fare altro, ma che palesa una scarsissima quantità e soprattutto qualità di idee solo in parte equilibrate dalla discreta prestazione dei componenti. Una menzione la meritano i testi, forse la parte più interessante del lavoro, belli, coinvolgenti e molto affascinanti; addirittura un componente della band è addetto esclusivamente alla composizione delle lyrics. Alla prossima, con la speranza che nel frattempo i Rossomahaar maturino e possano offrire un terzo disco più convincente, le possibilità ci sono!
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