Il batterista
Tony Scaglione assieme al chitarrista Chris Ott, nel New Jersey, per la precisione a Passaic, nel 1983 formò un gruppo dal nome Ambush, che dopo molti cambi di formazione, tra cui l’entrata di
Tony Portaro alla chitarra nel 1984, e dopo pochi mesi l’uscita stessa di Chris Ott, porterà alla nascita del complesso Thrash Metal
Whiplash, il cui nome traeva ispirazione dall'omonima canzone dei Metallica contenuta in “Kill’em All”(1983).
Dopo alcuni demo vennero notati dalla
Roadrunner che li mise sotto contratto, consentendo così ai
Whiplash di registrare il loro primo album, “
Power and Pain”, che vedrà la luce nel 1986.
È da segnalare che poco dopo la pubblicazione di “
Power and Pain”
Scaglione se ne andrà dalla band per sostituire Dave Lombardo in tour con gli Slayer, e rientrerà in formazione soltanto alla reunion del gruppo (dopo lo scioglimento del 1990) avvenuta nel 1995.
La line-up con cui si presentarono alla prima prova in studio era costituita innanzitutto da
Tony Portaro, che oltre al ruolo di chitarrista decise di dedicarsi anche al microfono, poiché la band non riuscì a trovare la persona giusta per farlo; cosa che proveranno a fare dal loro terzo lavoro “Insult to Injury” (1989), ottenendo però risultati inferiori, tant’è che da Thrashblack (1998) tornerà
Portaro a ricoprirne il ruolo. Poi vi era
Tony Bono (R.I.P. 2002) al basso e
Scaglione alle pelli.
La proposta che i tre metalheads intavolarono nel loro primo full-length era un Thrash Metal con qualche influenza Speed estremamente tagliente e abrasivo, essenziale e senza tanti orpelli o inutili tecnicismi; che si caratterizzava per suoni volutamente raw con un alone seminale di derivazione Hardcore ad ammantare tutto il prodotto.
L’aspetto che risalta fin dal primo ascolto è l’immediatezza – senza scadere mai nella banalità – dei brani proposti, i quali risultano memorizzabili fin da principio e rendono manifesto quello che secondo me è il loro miglior talento, che non risiede né nella tecnica né nell’innovatività della loro musica, ma nel feeling che i ragazzi hanno con i loro strumenti e dall’onda di ritorno che riescono a creare nell’ascoltatore, il quale si ritrova immediatamente coinvolto nelle solide frequenze sprigionate dai tre musicisti. Si prenda per esempio su tutte la splendida “
Last Man Alive“ (che tra l’altro è tra gli episodi più articolati del lotto).
Tutto suona estremamente old–school, la violenza della musica dei
Whiplash è palpabile dalla prima all’ultima traccia. Si tratta di assalti frontali ripetuti, fin dall’inizio col botto rappresentato dalle due mazzate di “
Stage Dive” e “
Red Bomb”, che proseguono con “
Message in Blood”, la quale tra l’altro risulta impreziosita da ottimi assoli. Per non parlare della telluricità di “
Warmonger”, con il suo refrain “easy listening” squisitamente 80’s, fino ai cori tra lo sgraziato e il melodico di “
Power Thrashing Death”; la ruffiana e avvincente “
Spit on Your Grave”, che nel testo richiama a molti elementi iconici dell’immaginario metallico, a partire da qualche eco Motorheadiano nelle liriche:
<<
I am the master with the iron fist
I am the master no one knows exists
I am the master I'll take your life
I am the master I'll spit on your grave
Taking advantage guilty as sin
And into the cauldron where no one can win>>.
Per poi concludersi con la mazzata finale di “
Nailed to the Cross”, tra i pezzi più ispirati di tutto LP.
Sono brani che scorrono bene – facilitati anche dalla brevità del tutto: circa 35 minuti totali – senza grandi cali qualitativi, di cui forse l’unico episodio sotto tono è rappresentato da “
Stirring the Cauldron”.
Si tratta di un album volutamente grezzo, non adeguato a chi piacciono i suoni puliti e plasticosi di molte produzioni moderne. Ritengo che nonostante fosse potenzialmente perfezionabile, il lavoro svolto in fase di produzione da
Norman Dunn risulti adeguato all’obbiettivo che gli americani si erano prefissati con la loro proposta.
Per quanto riguarda le tematiche si tratta di testi molto stereotipati che vertono su narrazioni apocalittiche, come per esempio “
Last Man Alive”, dove si parla della bomba H, e “
Message in Blood”. Le folli scorribande da palcoscenico di “
Stage Dive”, o le ambientazioni più ancorate al Rock di “
Red Bomb”, dove invece si racconta dell’attrazione verso una prostituta. Troviamo anche scenari di guerra in “
War Monger”, la quale sottace un’implicita critica verso di essa; la gargantuesca e dai tratti ironici “
Power Thrashing Death”, in cui la musica Metal viene paragonata ad una dose di eroina da sparare nelle vene dei metalheads, bisognosi di essere placati nei loro istinti. E non può mancare il classico tema dell’occultismo in “
Stirring the Cauldron”, e scenari infernali, luciferini, che conducono ad estremi atti punitivi nella conclusiva “
Nailed to The Cross”.
Ci troviamo al cospetto di un disco sottovalutato, un altro figlio di un Dio minore che avendo avuto la sfortuna di essere uscito nel 1986, dovette dunque rivaleggiare con platter del calibro di “Master of Puppets”, “Reign in Blood”, “Pleasure to Kill”, “Darkness Descends” e molti altri capolavori usciti nel giro di pochi anni, finendo così suo malgrado nel dimenticatoio.
…A noi la fortuna di riscoprirlo in tutta la sua genuina arroganza.
Recensione a cura di DiX88