“No U-turn”, e, infatti, quella cui assistiamo nel terzo album dei
101 South non è per nulla un’inversione di tendenza, ma la prosecuzione di un percorso che il loro leader Roger Scott Craig ha iniziato parecchi anni fa con i Fortune e poi continuato negli Harlan Cage.
Si tratta, dunque, di un AOR levigato, suggestivo e cristallino, che ha in canzoni “consapevoli”, consistenti e mature, nel sublime tocco pomp delle tastiere e in una vocalità virile, roca e profonda le sue carte vincenti.
Il gusto spesso melanconico delle composizioni ben si adatta alla laringe di Gregory Lynn Hall, un melange assennato di toni fonetici rimembranti David Glenn Eisley, Lou Gramm, Bob Carlisle e John Parr, e il quadro armonico complessivo sembra particolarmente adatto ai Vostri momenti più riflessivi e nostalgici, così come sarebbe praticamente perfetto per il commento musicale di qualche film a sfondo “dramma-giovanilitico-esistanziale” americano (alla “St. Elmo’s fire”, per intenderci) molto in voga negli anni ottanta.
Non si tratta di una critica, tutt’altro, adoro questo tipo di suono (mentre amo molto meno la categoria cinematografica!) e con la precedente notazione intendo solo inquadrare l’atmosfera di un disco piuttosto piacevole, immaginifico, emozionante e pure dai temi abbastanza memorizzabili, a cui, però, per raggiungere l’eccellenza e “minacciare” seriamente i maestri del settore, verso i quali i nostri rivolgono il loro ammirato sguardo artistico (penso a Foreigner, soprattutto, e in misura minore anche a Bad English, Asia e Giuffria), manca ancora un po’ d’intensità emotiva e di forza espressiva.
Una produzione assai professionale, ma un po’ asettica non contribuisce ad un risultato finale che si attesta su livelli di tutto rispetto e tuttavia non riesce a conquistare fino in fondo nonostante pezzi effettivamente molto soddisfacenti come “What are you gonna do anyway” e “Yesterday is gone” (con qualche reminiscenza Asia-tica), ”End of the game” (tra Pink Floyd e il Ian McDonald solista), “Don't tell me it's over” e la mia preferita "From what you know now”, un diamante dal taglio levigato la cui brillantezza si staglia risoluta in uno scrigno di gemme tutte dotate di un certo pregio.
Rimane da menzionare la conclusiva “Blue skies”, non tanto per la sua qualità specifica (comunque più che dignitosa, nella sua sentita enfasi sentimentale), ma per la rilevante presenza di Chris Thompson (Manfred Mann) al microfono, la quale per di più ci consente di rimarcare la competente prova collettiva dei numerosi ospiti presenti (compreso il noto e “fedele” guitar-hero Billy Liesegang).
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