Non è necessario essere dei luminari (o sedicenti tali) della psicologia, magari di quelli piuttosto di moda nei tanti talk-show del nostro sconsolante panorama televisivo, per “intuire” quali sono (almeno due del)le ossessioni personali di
Frédéric Slama: la città di Los Angeles e il rock melodico cosiddetto “adulto”.
Il produttore / musicista / compositore transalpino deve essere davvero follemente innamorato sia dell’
Adult
Oriented
Rock, il cui acronimo stesso (emblematico di tutto un genere) è diventato monicker del suo progetto musicale principale, e sia della città californiana, in cui vive e che cita in tutti i titoli della sua ormai corposa discografia sotto tale denominazione.
Non possiamo, però, che considerare assai “costruttiva” questa forma
maniacale, dacché, giunto alla settima prova in studio, il nostro realizza ancora una volta un prodotto di grandissima classe, probabilmente il più convincente di tutta la sua generosa parabola artistica.
La consueta soluzione della “all-star band” (oltre ai cantanti di cui disserteremo tra poco, segnaliamo solo, tra gli altri, Steve Lukather, David Williams, Joey Heredia e l’infaticabile Tommy Denander, anche co-produttore dell’opera) come sempre accomuna competenze inattaccabili e rischi di scarso coinvolgimento emotivo, tuttavia alla prova dei fatti “Journey to L.A.” si giova ampiamente del primo aspetto e non sembra eccessivamente afflitto dal secondo, offrendo un’oretta di notevole e intenso godimento cardio-uditivo a chi ama lo chic-rock yankee della migliore specie.
L’esperienza e la preparazione del team strumentale e compositivo permettono al suono del disco di essere sapientemente calibrato tra vitalità dal raffinato taglio hard e morbidezze west-coast, alimentato da un gusto estetico spesso veramente accattivante, che si esprime al suo massimo anche grazie alla laringe piena, sensibile e rigogliosa di Philip Bardowell, a cui sono assegnate la maggior parte delle incombenze vocali.
La voce dell’ex Unruly Child (recentemente apprezzato nei Places Of Power, e ricordiamo anche i Magdalen e una pregevole carriera da solista) è, infatti, l’innegabile protagonista di pezzi d’alta scuola come “Don't turn back” e “Never surrender” (irresistibilmente gratificati da vibranti venature hard-blues!), “Love remains the same” (pregno di sentimento non stucchevole, nonostante le edulcorate backing vocals), “Read the signs” (notturno e malinconico), “Just for love” (vaporoso e diretto), “The view of you” (pathos a profusione) e “Heartless” (puro e cristallino piacere “radiofonico”), ma anche i suoi compagni di microfono, pur decisamente meno impegnati, non ci stanno per nulla a fare la figura delle semplici “comparse”.
Ed ecco che Steve Overland si ritaglia un momento di vera gloria in “Waiting in the darkness” (circostanza degna degli FM di “Indiscreet”) e Fergie Frederiksen accetta la sfida con una prova diamantina nella deliziosa e vivace “Desperate dreams”, ripescata (assieme a “Lost in your eyes” e a “You’re my obsession”) dal passato artistico del bravo Monsieur Slama.
Restano da commentare la soffusa “West into the sun” (interpretata da Dane Donohue), non particolarmente esaltante, il sempre prezioso Bill Champlin gestire da par suo il ricercato andamento funky n’ soul di “Lost in your eyes” e la versione strumentale (performed by Bruno Levesque dei Silence) di “You're my obsession” (ecco che ritorna il tema dell’
ossessione … sta a vedere che allora anch’io sono praticamente “pronto” per quegli “autorevoli” dibattiti che ammorbano la tv italiana!), gradevole suggello conclusivo di un albo di sicuro valore.
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