La collaborazione tra Kristoffer Lagerström e Tommy Denander ha origini piuttosto lontane (1997), ma tale illuminata partnership riesce solo ora a dare un seguito alla sua concretizzazione discografica sotto la denominazione
Spin Gallery, avvenuta nel 2004 con l’ottimo “Standing tall”.
Ed eccolo “Embrace”, descritto come una fusione tra Mr. Mister, Toto, Giant e un pizzico di Peter Gabriel, Sting e Pink Floyd, una catalogazione che mi trova abbastanza d’accordo e a cui contribuisco aggiungendo qualcosa dell’enfasi “tecnologica” degli ultimi Yes e dei Conspiracy di Chris Squire e Billy Sherwood, nonché bagliori dell’AOR-pomp di Cannata, Kansas e Balance.
Insomma, un rock melodico molto sofisticato, magniloquente e sagace, che riesce a far convivere nello stesso quadro un certo gusto cromatico “sintetico” e “moderno” con pennellate dalle tinte “barocche”, il tutto grazie ad una felice mano capace di infondere al suo saggio operato la necessaria dose di emozione.
Abbandonata la soluzione
democratica nella spartizione del microfono (3 i lead singers presenti nel debutto; oltre a Lagerström c’erano anche Christian Antblad e Magnus Weidenmo …), è oggi il solo Kristoffer ad accollarsi l’impegno della totale gestione vocale (con l’esclusione di due cameo da parte di Robin Beck - ottima nella bellissima “Just a momentary why” - e Dan Reed – molto abile nel contribuire a rendere “You do the things you do” uno dei pezzi più divertenti e “memorizzabili” del programma - preziosi e ciò nonostante non particolarmente “decisivi” nell’economia globale del disco) e tuttavia si tratta di uno dei pochi casi di riconversione
monarchica a non comportare lagnanze, dacché il nostro Lagerström si dimostra completamente all’altezza di ogni situazione espressiva, con questa sua timbrica cristallina e limpida che, spesso doppiata in pregevoli arrangiamenti vocali, concorre non poco a composizioni davvero molto intense e soddisfacenti.
Parlo, innanzi tutto, della splendida title-track, un momento di grandissima suggestione emotiva, delle volubili “Stone by stone” e “Tic toc”, gratificate da refrain istantanei e da una pregevole costruzione armonica, della deliziosa “Brilliance of the drugs”, pregna di pathos tangibile e di un guitar work di grande attrattiva, o ancora di “Indulge” e “The end”, immaginifici voli nella stratosfera del piacere cardio-uditivo.
Molto buone, poi, anche la vivacità in salsa AOR-bubblegum di “Eyes wide open” e l’attitudine “commerciale” di “Everything Fades”, mentre, personalmente ho trovato un po’ troppo stucchevoli le romanticherie di “Blood in my veins” e non del tutto convincenti le contaminazioni pop-soul-funk di “Without love”, interessanti a livello teorico eppure non completamente “risolte”.
Un buonissimo ritorno, dunque, stimabile per eleganza, sensibilità, forza espressiva e, perché no, anche per un’aliquota di creatività non sempre così diffusa … Dal mio punto di vista, tutte cose che rendono l’acquisto di un Cd un investimento produttivo.
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