Non fosse per la presenza di Ian Parry (Elegy, Consortium Project...) l'esordio degli
Infinity Overture, creatura del chitarrista danese Niels Vejlyt, non avrebbe poi molto da dire. Anzi una mano gliela dà pure la produzione di Sascha Paeth e Miro, nell'occasione un po’ meno bombastica del solito, forse proprio per adeguarsi alle sonorità più d'atmosfera e meno d'impatto che emergono dal disco.
Altra peculiarità degli Infinity Overture è la presenza, almeno nella formazione che ha inciso "Kingdom of Utopia", di ben due cantanti femminili, Lene Petersen e Anne Karine Prip, che ad ogni modo raramente tendono a sovrapporsi troppo a Parry.
"Millenia" e "The Great Believers", aprono il disco con un andi vivace ed arioso, ma dopo gli impulsi neoclassici ed orchestrali di "Warrior King" cala una fase di stanca, con canzoni noiose o eccessivamente derivative come "Wonderland" o "Temple of Doom", mentre le due ballad, "Queen of Hearts" e "Sacred Fire", sono salvate in extremis solo dalla prova di Parry.
L'attacco rinascimentale della titletrack richiama i Rhapsody, ma senza la stessa enfasi e lo stesso impatto, sopratutto a causa di un refrain privo tanto di nerbo quanto di feeling, e così per riconciliarci con gli Infinity Overture tocca aspettare quella "Oceans of Time" che nella prima parte lascia trasparire un approccio più Hard Rock e nella seconda offre qualche spazio in più alla voce di Lene Petersen, mentre Niels Vejlyt prova a rilanciare la propria leadership spadroneggiando con le sue chitarre (acustica ed elettrica) nel brano strumentale che chiude il disco, tra tentazioni progressive e malmsteeniane.
Dobbiamo infine ricordare che il bravo Parry non solo si è occupato delle sue parti vocali, ma ha anche steso i testi e sviluppato il concept fantasy sul quale si snoda l'album.
Per ora però non basta...
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