Copertina 8

Info

Past
Anno di uscita:1975
Durata:37 min.
Etichetta:EMI

Tracklist

  1. COMIN' HOME
  2. LADY LUCK
  3. GETTIN' TIGHTER
  4. DEALER
  5. I NEED LOVE
  6. DRIFTER
  7. LOVE CHILD
  8. THIS TIME AROUND - OWED TO G
  9. YOU KEEP ON MOVING

Line up

  • David Coverdale: vocals
  • Glenn Hughes: bass, vocals
  • Tommy Bolin: guitars
  • Jon Lord: keys
  • Ian Paice: drums

Voto medio utenti

Non voglio suonare questa musica da lustrascarpe”: tutto si può dire di Ritchie Blackmore, tranne che non sia un tipo diretto. Con l’ingresso di David Coverdale e di Glenn Hughes, dopo la scossa di assestamento di “Burn” (1973), gli equilibri sono destinati a cambiare in fretta. Già nel successivo “Stormbringer” (1974), si nota un affievolirsi del coinvolgimento di Ritchie, la cui autostima viene messa a dura prova dal diniego degli altri quattro di inserire sull’album una cover di “Black Sheep Of The Family” dei cult-heroes Quatermass.

Dura da mandare giù per uno che è abituato a sentirsi rispondere “signor si, signore”. Ed infatti, di lì a poco, Blackmore molla tutto per gettarsi a capofitto nella straordinaria avventura Rainbow con Ronnie James Dio. Incassato il durissimo colpo, Lord, Paice, Hughes e Coverdale non ci pensano nemmeno di gettare la spugna. È proprio quest'ultimo a suggerire il nome di Tommy Bolin, già segnalatosi come purosangue virgulto rock con i suoi Zephyr, ma anche come poliedrico artista jazz fusion nell'album "Spectrum" di Billy Cobham. Con l'arruolamento di Bolin, quella che era comunque rimasta "maggioranza" storica fino a "Stormbringer", nonostante la novella partnership Coverdale/Hughes, diventa improvvisamente minoranza, con i soli Lord e Paice a rivendicare l'illustre passato.

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"Come Taste The Band" viene registrato a Monaco di Baviera, sotto l'ala protettrice del solito Martin Birch, ed accentua notevolmente la vena funky/soul già abbozzata in alcuni episodi del suo predecessore. Blackmore dice: "Glenn è davvero una cara persona, oltre che un musicista nato. Però non mi piacciono i suoi acuti alla Stevie Wonder, ho sempre preferito la voce di David". Ebbene, chissà cosa avrà pensato ascoltando ad esempio una "Gettin' Tighter", con quegli urletti in stile black music da parte di Hughes. Lasciamo perdere il fatto che, nel tempo, il brano è diventato un piccolo classico che Glenn propone puntualmente dal vivo: se ci caliamo mente e spirito in quegli anni, per i fans dei Deep Purple deve essere una "prova" ardua da superare. L'album viene prodotto in maniera superlativa da Birch, e l'iniziale "Comin' Home" predispone l'ascoltatore ad un possibile ritorno a tematiche hard rock molto classiche per il repertorio del gruppo. Niente di più falso. Già la successiva "Lady Luck" vede Coverdale cimentarsi in vocalizzi e linee melodiche che sarebbero diventate anticipatrici degli imminenti Whitesnake, con quel mood alla Bad Company che farà la fortuna di dischi come "Trouble" o "Lovehunter". Il drumming di Ian Paice aggiorna il registro allo "shuffle" imposto dai tre "giovanotti", ed anche brani statuariamente hard rock, come "Dealer" ed "I Need Love", assumono connotati più groovy. "Drifter" è mostruosamente accattivante, con la voce di David che assalta i power chord di Bolin, il quale, dal canto suo, si rende autore di un bellissimo assolo. Se "Love Child" ha un riff che profuma di Led Zeppelin, l'intervento centrale di synth da parte di Jon Lord risulta abbastanza spiazzante, per non dire bizzarro, richiamando per l'ennesima volta l'attitudine Motown. Con "This Time Around" la band si addentra in una meravigliosa ballad pianistica, con l'ugola di Hughes letteralmente in stato di grazia, che intona melodie prodrome di certe sonorità "new romantic" caratterizzanti il decennio successivo. La strumentale "Owed To G." spiana la strada per il gran finale di "You Keep On Moving": aperta da un basso tenebroso, che si staglia sul tappeto di tastiere steso da Jon Lord, la song vive sull'indimenticabile duetto vocale tra Coverdale e Hughes, col primo che rende giustizia alle parti più umbratili e blues, ed il secondo che armonizza da par suo un chorus dalle infuocate tonalità epiche.

Prevedibilmente, "Come Taste The Band" non ripete i risultati di vendita di "Burn" e nemmeno di "Stormbringer", con i fans del gruppo che invocano spesso Ritchie Blackmore e fischiano Tommy Bolin. Invischiato in una brutta storia di tossicodipendenza da eroina, il chitarrista ci metterà pure del suo, rovinando diverse esibizioni live, compresa quella di "Last Concert In Japan", nella quale Lord deve sovente sopperire al vuoto di una sei corde mancante. Si narra infatti che, in quell'occasione, Bolin abbia il braccio completamente immobilizzato per l'abuso di sostanze stupefacenti: stranissimo che il gruppo abbia voluto trarre un disco dal vivo proprio da quel concerto. Ma ai soldi facili, si sa, non si guarda mai in faccia. Dopo una disastrosa data in quel di Liverpool, un Coverdale in lacrime annuncia la fine di "quei" Deep Purple. Purtroppo Tommy perderà la vita poco tempo dopo a causa di un'overdose, ma chi volesse testare il suo immenso e genuino talento, non dovrebbe perdersi i suoi due album solisti "Teaser" (soprattutto) e "Private Eyes".

Venite ad assaggiare la band, recita il titolo: un'ingiunzione, più che un invito.

Recensione a cura di Alessandro Ariatti

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 22 dic 2021 alle 20:37

A mio parere un gran bel disco, originale e grintoso. Peccato per l'autodistruzione del talentuoso Bolin..

Inserito il 15 dic 2014 alle 17:08

LA COPERTINA SBALLA COME IL DISCO: UNA FIGATA.

Inserito il 12 dic 2014 alle 10:48

Scusate.. errore mio nel formattare la recensione. Rimedio il prima possibile.

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