Il matrimonio tra i
Deep Purple e
Joe Lynn Turner è artisticamente un'unione felice, e lo dimostra un grandioso album di hard rock/AOR come "
Slaves And Masters". Tuttavia i fans del classico Mark 2 non sono contenti, e reclamano a gran voce un ritorno di
Ian Gillan dietro al microfono. Complice anche la guerra del Golfo, che storpia gran parte dei tour a supporto dei dischi usciti tra il 1990 ed il 1991 per paura di ritorsioni terroristiche,
Ritchie Blackmore e soci hanno tutto il tempo per riflettere sulla situazione creatasi attorno al gruppo.
Il chitarrista è assolutamente contrario al ritorno del figliol prodigo, ma si sa che i Deep Purple sono sempre stati una democrazia, al di là delle voci incontrollate che dipingono "the man in black" come un dittatore. A tal riguardo,
Jon Lord afferma che "
Turner è un grande cantante, ma la sua attitudine melodica non ha nulla a che vedere con noi".
Il dado è tratto, e la scelta di riportare Gillan a bordo coinvolge il voto favorevole di tre membri su quattro: a Joe, ovviamente, viene precluso il diritto di esprimere la sua opinione in quanto parte in causa. "
The Battle Rages On" è già scritto quando viene ufficializzato il rientro del vocalist inglese, addirittura si dice che esista una versione completa del disco totalmente cantata da Turner, ma a questo punto credo che si tratti solo di pettegolezzi, altrimenti ce la saremmo trovata stampata in qualche versione, oppure allegata a determinate ristampe.
Una cosa è certa: i Deep Purple sono ancora una volta dei pionieri, e stavolta non in senso positivo. L'album viene infatti inciso da separati in casa, col gruppo che consegna al produttore
Tom Panunzio le parti strumentali, le quali vengono poi spedite a Gillan perché possa cucirgli addosso il suo contributo. Una sorta di anticipazione di quella che personalmente definisco "
MAD" (musica a distanza), una metodologia che ormai si è tristemente imposta come regola, con lo scambio di file che sostituisce il feedback in studio. Ed i risultati si sentono.
"The Battle Rages On" riflette sicuramente la tensione strisciante in seno alla band: si tratta di un lavoro nervoso, spigoloso, ma come al loro solito i Deep Purple elevano i dissapori personali a forma d'arte. La title-track, ad esempio, più che il racconto dell'eterna lotta tra il Bene ed il Male, tra Yin e Yang, sembra quasi narrare la convivenza pressoché impossibile tra Blackmore e Gillan, con quel riff scultoreo che si sovrappone ad una ritmica ai limiti del funky sulle strofe cantate. Che il titolo "
la battaglia infuria ancora" sia riferito all'unione forzata tra vocalist e chitarrista in nome dei fans? Non è dato sapere. "
Anya" è un altro titolo di grande spessore: melodia dal sapore orientaleggiante imposta dalle tastiere di Lord e dalla sei corde di Ritchie, su cui Ian scrive una linea armonica molto prossima al capolavoro. Non mancano purtroppo nemmeno alcuni passaggi a vuoto, come l'insipida "
Lick It Up", velleitario tentativo di replicare certe atmosfere "ibride" del periodo "
Stormbringer"/"
Come Taste The Band", oppure il blues accelerato di "
Ramshackle Man", francamente ben poca cosa se paragonato alla raffinata trivialità di "
Mitzi Dupree" from "
House Of Blue Light". Decisamente meglio lo stop-and-go di "
Ain't Talking 'Bout Love", ma soprattutto il melodic rock di "
Time To Kill", graziata da uno strepitoso assolo finale di Hammond che genera brividi al calor bianco. "
A Twist In The Tale" vorrebbe replicare la magniloquenza neoclassica di "
A Gypsy's Kiss", con risicate speranze di replicarne l'efficacia, ma è la parte finale del disco che rialza brutalmente il livello qualitativo. "
Nasty Piece Of Work" palesa una profondità sonora che solo i Deep Purple riescono ad evocare con una simile intensità, "
Solitaire" si assesta su un battente mid tempo dalle suggestioni melodrammatiche, e la conclusiva "
One Man's Meat" vede Ritchie Blackmore eruttare uno dei suoi mastodontici riff in "stato di grazia modalità on".
Il tour di accompagnamento a "The Battle Rages On" sottolinea il disastroso "non-rapporto" che intercorre tra frontman e chitarrista: i due viaggiano sempre separati, ed arrivano al punto di segnalare sul palco i rispettivi spazi vitali, con delimitazioni fisiche reciproche. Dopo l'inevitabile abbandono di Ritchie, tra i due volano parole grosse, documentate da una ormai celebre doppia intervista dell'epoca, divulgata poi su YouTube e denominata "
Battle Of Words".
Dice Gillan: "
Blackmore è un chitarrista fenomenale, un maestro, un gigante. Ma allo stesso tempo è anche un nano dal punto di vista intellettuale". La risposta di Ritchie non si fa attendere: "
Ian è più grosso di me, ma prima o poi lo farò picchiare in qualche vicolo da un mio amico, probabilmente svedese".
Un bel siparietto, non c'è che dire: il sospetto che si tratti di uno show mediatico studiato a tavolino è molto forte, ma sicuramente coglie nel segno e fa parlare mezzo mondo. "The Battle Rages On" rimane l'ultima testimonianza da studio dei Deep Purple con l'apporto di Blackmore, il quale non ha mai nutrito un affetto particolare nei riguardi di questo album.
Del trittico post reunion si tratta sicuramente dell'episodio meno riuscito, ma parliamo comunque di un'opera ben al di sopra della comune vulgata.