Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2002
Durata:49 min.
Etichetta:Euphonius
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. SLIPPING
  2. ALL THE SAME
  3. I FOUGHT IT BACK
  4. ALWAYS THERE
  5. THE DARKER SKY (THE BRIGHTER THE STARS)
  6. DECEIVER
  7. IN MEMORIAM
  8. LOVE ENTOBED
  9. FOLLOW CAUGHT

Line up

  • Brian Hansen: vocals
  • Kim Larsen: guitars
  • Brian Hansen: bass
  • Jesper Saltoft: drums
  • Kim Larsen: keyboards

Voto medio utenti

Gothic Rock melodico, canonico e molto, molto Pop Oriented (chiare le influenze inglesi nel sound dei “senza amore”) per questo combo nord europeo, in uscita su Euphonius Records con il primo full lenght album. Lasciatemi dire che musicalmente parlando, il lavoro è piacevole e si lascia ascoltare più che bene, scivolando via in un attimo…il problema? Semplice: di quello ascoltato non rimane in testa molto, anzi direi praticamente nulla, portando allo sbadiglio finale l’ascoltatore. Il songwriting è molto leggero e le songs risultano poco incisive, anche se, ruffianamente parlando, l’album è molto catchy nel suo incedere, risultando, forse, anche troppo appiccicoso e qualche volta snervante a causa dei vari choruses ultra commerciali a mille voci…come in ‘Always There’, ‘The Darker The Sky’ e nella conclusiva ‘Follow’, tre songs, che pur non rientrando nella categorie delle ballads, rischiano di traforarti i denti dai carie…Certo, i The Loveless non disdegnano anche episodi più duri, come ‘Deceiver’ (una songs supportata da un refrain in grado di ricordare i Pink Floyd più oscuri) o ‘In Memorian’, track che ricade nella codifica di classica Gothic Rock song, con inserti di chitarra fortissimamente ispirati al periodo d’oro dei The Cure. Questo dei The Loveless è, quindi, un platter strano, ove le songs sono praticamente costruite per contagiare un vasto pubblico, ma, pur essendo buone composizioni, sembrano non avere la forza per penetrare all’interno della corteccia d’ascolto del listener, ma piuttosto ne rimangono fuori, muovendosi sulla superficie, e non graffiando il substrato. Purtroppo per questo three pieces, il termine adatto non è ascoltare, ma è sentire…come detto, strano album, ove forse l’unico aggettivo valido è leggero…troppo, troppo leggero.
Recensione a cura di Massimo 'Whora' Pirazzoli

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