Ho impiegato diversi ascolti per farmi un'idea precisa di questo nuovo lavoro di Alchemist, un concept, come leggete anche dai titoli, incentrato sul futuro non così remoto e sicuramente estrapolabile e sovrapponibile su quello che Noi, inteso come Esseri Umani, stiamo ora vivendo e sul domani che verrà. La miscela musicale di questa band australiana, è un qualcosa di mutevole e non definibile, come lo shimmering di un essere camaleontico, un sound traslucido che nasce dalla fusione del Metal con sonorità psichedeliche (mai comunque troppo acide) e ritmi etnici (il giusto e quando serve), che si mescolano su una tavolozza sonica molto progressive di concezione, a volte spigolosa, ma comunque potente ed originale. Canzoni come 'First Contact' la splendida, vacua e dilatata 'Alpha Cappella Nova Vega', 'Nature On A Leash' o la cinica 'Letter To The Future' sono songs perfette per descrivere l'avvento la conclusione di un domani, per narrare la fine di quello che noi stessi abbiamo creato (partendo come ospiti) ed abbiamo contribuito a distruggere (governando come despoti). Per darvi ancora qualche elemento più approfondito su questo 'Austral Alien', posso dirvi che tutti gli amanti di Amorphis (quelli dell'ultimo periodo) e dei Voivod troveranno esaltante questo platter... ma anche chi adora 'Somewhere In Time' o 'Seventh Son Of A Seventh Son' degli Iron (come il sottoscritto) potrà in un certo senso ritrovarsi su questo lavoro: le atmosfere fredde e taglienti, così dense di polvere stellare, così "sintetiche" sono la trade union di ogni track (attenzione però, la voce qua è, sul growl, tra i Gorefest di 'Chapter 13' e gli Entombed, mentre sul pulito prende spunto dai primi Fear Factory, Dickinson non c'entra!). Un album che cresce ascolto dopo ascolto, ove l'unica pecca è rappresentata dalla produzione, fin troppo naturale, piena e cupa.
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