Il secondo album ufficiale dei ciprioti
Winter's Verge giunge a un paio d'anni di distanza dalle buone impressioni suscitate da "Eternal Damnation" (che si aggiungeva al vero esordio, autoprodotto) . Forte dell'innesto del nuovo batterista Chris Ioannides, la band ci propone 11 brani di power metal melodico, ricercato e venato di prog, senza però mai sfociare in episodi troppo intricati o prolissi.
La melodia è sempre e comunque l'elemento che sembra stare più a cuore ai Winter's Verge, i quali comunque non disdegnano affatto l'occasionale spinta sull'acceleratore, come testimoniano ad esempio la graffiante (ma onestamente poco convincente) "World Of Lies" o la veloce "Dark Entries".
In tutta sincerità, la prima metà del disco non mi è parsa eccezionale: i brani sono tutti ben suonati ma manca forse il guizzo definitivo, il lampo improvviso che rende una canzone memorabile. Quello che abbiamo, invece, è un pugno di episodi dignitosi, godibili ma tutto sommato ordinari. La ballad "For Those Who Are Gone", per esempio, pur essendo tutto sommato gradevole, risulta alla fine un po' "piatta", mentre "I Swear Revenge" si risolleva solo nel refrain, rimanendo piuttosto anonima per il resto.
Il primo brano davvero convincente è "Envy", in cui finalmente la band azzecca la formula giusta: dinamica, melodica, trascinante e con un bel ritornello. La già citata "Dark Entries", a base di doppia cassa a manetta, è incisiva nel modo giusto, mentre "Madness Once Called Love" alterna con efficacia parti rallentate ad altre più heavy. Arriviamo quindi al brano migliore, "Tomorrow's Dawn": il riffing granitico, la ritmica serrata, la parte solista sopra le righe e un altro bel refrain ci regalano una canzone corta, d'impatto e degna dei migliori interpreti di questo genere.
In chiusura troviamo l'episodio che più si avvicina al prog, "Reflections Of The Past", in cui i numerosi botta e risposta fra chitarra, tastiera e perfino basso (bello l'assolo centrale!) si inseriscono in un pezzo dal sapore decisamente epico.
Altro buon momento è quello della conclusiva "Curse Of Time", nella quale è la melodia a farla da padrone, con una parte vocale finalmente positiva da cima a fondo (il cantante, George, non è affatto malvagio ma a mio avviso ha ancora notevoli margini di miglioramento, soprattutto dal punto di vista dell'espressione).
In quanto alle prestazioni individuali, bisogna dare credito soprattutto al chitarrista Harry e al tastierista Stefanos: il primo è un vero funambolo, capace di inanellare con scioltezza una serie di assoli notevoli per tecnica ed efficacia, mentre il secondo domina gran parte dell'album con un tappeto di tastiere elegante, mai invadente ma fondamentale nell'economia dei brani.
Il giudizio finale è in pratica una media fra i brani di un disco che personalmente percepisco diviso in due: cinque canzoni mediocri e sei fra il discreto e il molto buono. I Winter's Verge mostrano a tratti un'evoluzione rispetto al disco precedente ma non hanno ancora definito con precisione un proprio stile. I punti positivi ci sono, bisogna solo sperare in un'ulteriore maturazione a livello di composizioni, visto che tecnicamente la band c'è e si sente.
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