Accortomi che su metal.it mancava la recensione di “
Paranoid” dei
Black Sabbath mi sono detto che bisognava porre rimedio.
Sia detto che la storia non è soggetta ad opinioni, tantomeno a recensioni, e sia altrettanto detto che “
Paranoid” trascende il concetto di storia, assurgendo a mito o leggenda della musica tutta, senza distinzioni di generi ed epoche.
Il 18 Settembre del 1970
Ozzy Osbourne,
Tony Iommi,
Geezer Butler e
Bill Ward – benedetti siano i loro nomi e scolpiti in lastre di platino a imperitura memoria – davano alle stampe quello che, personalmente, ritengo il miglior album mai concepito da mente umana, la definizione di capolavoro, la perfezione fatta musica.
Ascoltare “
Paranoid” è come assistere all’attimo primordiale della creazione, al big bang dal quale tutto è nato, è mettersi nei panni di Dio e provare l’ebbrezza dell’onnipotenza e, soprattutto, dell’onniscienza. Questo perché i nostri, forse inconsapevolmente, stavano plasmando l’evoluzione della musica pesante, le indicavano la strada e le davano come viatico almeno 5 o 6 generi dai quali cominciare. Non c’è un solo gruppo appartenente all’universo metal che non possa dirsi influenzato dai
Black Sabbath. Dall’heavy al gothic, dal doom, in tutte le sue declinazioni (dallo stoner, al drone passando per il funeral), al dark sound, è possibile ritrovare traccia dell’influenza di questo disco.
Probabilmente altri gruppi dell’epoca, penso ai
Black Widow o ai
Coven, possono fregiarsi di essere stati tra i pionieri del dark sound, giocando con esoterismo, magia e satanismo, ma i
Black Sabbath hanno codificato un suono e, con esso, un immaginario influente in maniera decisiva al pari della musica.
“
Paranoid”, da molti a torto considerato un disco ‘leggero’, dedito solo a quell’immaginario occultista in voga in quegli anni, è in realtà un disco maturo, impegnato, che affronta diverse tematiche e sembra lo specchio fedele di quegli anni. Anni irripetibili, per fortuna o purtroppo.
Si è già detto dell’ambiente esoterico e occultista dell’epoca, in special modo in Inghilterra, patria di quell’
Aleister Crowley, fondatore dell’Abbazia di Thelema, già idolatrato da moltissimi musicisti, tra cui
Jimmy Page. Ma quelli erano anche gli anni della contestazione giovanile, del ‘peace & love’, frutto di un ’68 che era nel suo pieno vigore, tra guerra del Vietnam che, dopo l’iniziale entusiasmo, aveva già rivelato i suoi orrori all’opinione pubblica mondiale, e guerra fredda, con i blocchi contrapposti che si preparavano alla terza guerra mondiale, facendo esplodere ordigni nucleari in cielo, mare e terra.
Era anche il periodo dell’esplosione delle droghe. L’LSD aveva già dimostrato i suoi effetti, grazie al suo profeta
Timothy Leary, ad
Allen Ginsberg e tutta la sottocultura beat, dando l’illusione di poter aiutare il processo artistico/creativo, dischiudendo nuovi e inesplorati stati di coscienza. Ma era anche il periodo in cui si diffuse l’eroina, che fece strage.
E perché non citare le prime esplorazioni spaziali e una pletora di film di fantascienza basati su mondi alieni e esseri provenienti dallo spazio?
Tutte queste influenze storiche le ritroviamo citate in “
Paranoid”.
L’iniziale “
War Pigs” è un monumentale inno contro la guerra che inizia con il suono di sirene antiaeree, dipingendo la vivida immagine di generali radunati, come streghe ad un sabba, che progettano distruzione, con politici che iniziano guerre lasciando che a combatterle siano i poveri.
Segue “
Paranoid”. La leggenda vuole che fu composta per ultima, in fretta e furia, in soli 25 minuti, dovendo essere un riempitivo, diventando però il pezzo più famoso dei
Black Sabbath, l’inno con il quale si chiudono i concerti, il delirio finale sul quale generazioni di fans si sonolanciati in un pogo e in un headbanging sfrenato. La canzone simbolo della devianza mentale e della sociopatia, quasi presagendo lo stato attuale di Ozzy, ormai distrutto dalle droghe.
La successiva “
Planet Caravan” è psichedelia pura, è space rock d’autore. Atmosfera dilatata, rilassata, ‘fumosa’, sembra di essere distesi, di notte, nella placida campagna inglese, a rimirare il firmamento luccicante, e poi lasciarsi andare, volando via oltre il tempo e lo spazio. La voce di Ozzy è ipnotica, suggestiva, supportata da un tribalismo sabbatico che magnetizza. “
Planet Caravan” è l’inno degli anni ’70.
“
Iron Man” è la definizione ante litteram di hard’n’heavy, con un riff pesantissimo e una ritmica solida e quadrata. La canzone tratta di un tema fantascientifico, tipicamente sci-fi, ed è assolutamente perfetta, senza nemmeno una nota fuori posto.
“
Electric Funeral” è il doom che esordisce sul palcoscenico della storia della musica. Il suo riff è leggenda e descrive bene l’apocalisse nucleare che racconta.
Tony Iommi ingrassa i suoi riff con il wah wah mentre la voce di Ozzy, ancora una volta, è perfetta, quasi sciamanica nel delineare paesaggi desolati frutto di fallout radioattivo.
“
Hand Of Doom” racconta gli ultimi istanti di vita di un eroinomane in overdose, con il basso di
Geezer Butler in primo piano, oscuro, minaccioso, che da il là ai potenti riff di
Tony Iommi. È inutile che vi dica che è una delle mie preferite.
“
Rat Salad” è un intermezzo strumentale nel quale
Bill Ward si prende la sua fetta di leggenda, dando vita ad un assolo sul quale generazioni di batteristi hanno imparato a muovere i primi passi.
Il disco si chiude splendidamente con “
Fairies Wear Boots”, canzone al tempo stesso pesante e trascinante, con un riff irresistibile, che ha un duplice significato, quello fatto palese dalle parole del testo, risolventesi in un inno antifascista (le fate che indossano gli stivali sono gli skinheads), ed un altro recondito ed esoterico.
Non c’è molto altro da aggiungere, almeno in questa sede, anche perché si potrebbero riempire pagine e pagine dedicate a questo disco e alla sua influenza. Questa non è una recensione, è un tributo ad un disco che da ben 42 anni segna la vita di milioni di amanti della musica. Il voto è ovviamente puramente indicativo, non essendo possibile trovare un metro di paragone per questo capolavoro immortale.