Questa recensione non era assolutamente programmata e la sto scrivendo di getto, così, sull'onda dell'entusiasmo che l'ennesimo riascolto di
Born Again mi ha procurato. Devo dire che se c'è un album che ho sempre ritenuto sottovalutato e ben poco cagato, senza davvero capirne il motivo, è proprio il disco del 1983 di Iommi e soci. Nel nostro ambiente c'è sempre un gran parlare di dischi sottovalutati e passati in sordina ma anche tra questi il nome dell'album in oggetto è sempre poco menzionato eppure si tratta di un lavoro che merita di essere riscoperto. I motivi sono presto detti: si tratta della formazione storica (Iommi, Bulter, Ward) che vede alla voce, però, niente meno che uno dei più carismatici cantanti della storia del rock in generale: il leggendario Ian Gillan dei Deep Purple.
Attorno ai quattordici anni, dopo essermi macinato ben bene tutti i dischi dell'era Ozzy e prima di farmi stregare dalla doppietta dei primissimi Ottanta con Dio dietro al microfono, mi imbattei quasi casualmente nella copertina oscura e inquietante di
Born Again: non avrei mai potuto non sentirlo. La fibrillazione e un intenso senso di emozione mi travolgono appena capisco che dietro al microfono vi era la voce di "
Highway Star", "
Space Truckin'" e tanti altri brani che ben conoscevo. Amore istantaneo: la performance di Ian Gillan è di un'aggressività e di un'espressività assolutamente sopra le righe tanto che mi è subito parso non meno a proprio agio nella truppa di Iommi che in quella di Blackmore e compagni. Proprio non capisco quelli che sostengono che la voce di Gillan non si adatti al riffing plumbeo e solforoso di Iommi: Ma l'avete sentita la devastante "
Trashed"? O, ancor meglio, l'oscura e tetra "
Disturbing the Priest", sostenuta dall'inquietante lavoro di chitarra del Maestro? Sopra un riffing luciferino si inseriscono la malefiche risate del signor Gillan che subito esplodono in una performance sentita e sputata sul microfono tra acuti graffianti e i "soliti" potenti vocalizzi di un cantante che anche in questa occasione è capace di mettere qualcosa che è ben più che mestiere. E che dire della pesantissima "
Zero the Hero"? Riffing oscuro, cattivo e plumbeo con Iommi che macina inesorabile una sequenza devastante di note facendosi trascinatore del pezzo con una spontaneità disarmante... Sopra, Gillan ricama una strofa dall'aggressività decisamente spiccata e dalla metrica incalzante, facendoci mettere in dubbio se effettivamente nei DP egli tocchi livelli di abrasività analoghi: sinceramente, non mi risulta. Ciò sta a dimostrazione del fatto che l'intenzione dei musicisti coinvolti in questo album - a partire dal cantante - è proprio quella di mettersi in gioco come artisti finalizzando la propria performance alla riuscita complessiva del lavoro.
In seguito, è la più immediata "
Digital Bitch" a movimentare decisamente la situazione: pezzo sicuramente meno complesso ma capace di infondere grande trasporto ed entusiasmo e nel quale la band dà l'impressione di scatenarsi alla grande, a giudicare dalle straripanti performance di Iommi e Gillan. La title track è invece un brano decisamente più riflessivo e oscuro, nel quale la performance vocale si fa piuttosto varia, permettendo all'allora ex Deep Purple di tirare fuori tutto il campionario tecnico ed espressivo del quale è capace. I toni si fanno qui maggiormente epicheggianti ed evocativi con le chitarre che nella strofa disegnano mesti e bui scenari per esplodere in rocciosità sull'ottimo refrain e spostare infine il focus sul gustoso assolo di Iommi che accompagna il brano verso la sua conclusione.
In "
Hot Line" i ritmi si fanno nuovamente sostenuti con la canzone che presenta un riff accompagnato da una sezione ritmica decisamente "machine-headiana" anche se col riff qui proposto Iommi sembra cercare di andare più incontro alla NWOBHM che al tipo di lavoro di chitarra di cui Blackmore fa sfoggio nel disco del '72: il risultato è in effetti interessante perchè riesce a fondere in modo davvero riuscito e personale un sound più settantiano con quello più roboante della decade successiva.
La finale "
Keep It Warm", invece, parte come un mid tempo trascinato da un ottimo ritornello ma si evolve anche ritmicamente quando Iommi si prende la libertà di far stridere le sue sei corde: l'album si conclude quindi con un pezzo dall'atmosfera un po' più ariosa e orecchiabile, quasi a voler parzialmente smorzare l'asperità di un disco pesante e oscuro che interrompe anche stilisticamente la (straordinaria) parentesi con Dio per ritornare, a livello di attitudine e di intenti, a quanto proposto nella prima parte di carriera. Certo, il modo di suonare pesante intanto si è profondamente modificato - e nessuno lo sa meglio del mastermind Iommi - ed infatti
Born Again è tanto "doom" ed inquietante quanto capace di alzare i ritmi dando vita a brani più catchy ma sempre pestati e strapieni di personalità. Inoltre si tratta di un disco super dinamico e variegato che in ogni caso mantiene ben saldi alcuni elementi caratterizzanti. Magari non tutti i brani stanno sul livello di qualità di "
Disturbing the Priest", "
Zero the Hero" o la title track ma tutti risultano necessari all'economia del disco, rendendolo vario ma con un'identità precisa. Non c'è un brano, infatti, che non presenti almeno un ritornello e/o un riff che anche a primo ascolto non vi colpirà facendo in modo che anche pezzi ottimi ma meno clamorosi si impossessino di voi.
Se proprio devo trovare una pecca o, meglio, qualche elemento sotto tono indicherei la sezione ritmica: non perchè la coppia Butler/Ward non sia devastante anche in questa sede ma, a differenza di certi dischi passati in cui ci avevano abituati a prendersi un ruolo da protagonisti in almeno un'occasione a disco, qui lo spazio dedicato alla fantasia di bassista e batterista è piuttosto limitato. Probabilmente l'aria che tirava, già all'epoca, era quella di una band che sempre di più stava diventando il prolungamento naturale di Tony Iommi, relegando quindi gli altri ad un ruolo meno centrale a livello di songwriting. Detto ciò, va comunque sottolineato come in molti brani - direi ovunque possibile - Butler arricchisca in modo magari non determinante ma sicuramente gustoso gli accompagnamenti che serve alla chitarra di Iommi; così come Ward, ancora più limitato del collega alle quattro corde, fornisce un'ottima prova ma solo raramente riesce a far emergere le sue leggendarie doti di percussionista. Si tratta di questioni di lana caprina che solleviamo solo alla luce dello spessore degli elementi coinvolti nella registrazione di questo disco: se si parlasse di chiunque altro sono sicuro che ci si limiterebbe a plaudere alla performance senza agitare tante perplessità.
Il massimo che sono disposto a concedervi in relazione a
Born Again è che magari non è un disco che esercita l'impatto deflagrante dei primi cinque/sei album dell'era Ozzy o che se comparato a
Heaven & Hell e
Mob Rules dimostra di non avere lo stesso numero di pezzoni totalmente clamorosi ma vi assicuro che anche di fronte a capolavori del genere non sfigurerà:
Born Again ha dalla sua l'atmosfera, la pesantezza, l'attitudine, i suoni grezzi e oscuri, un Ian Gillan da lacrime agli occhi e più di qualche brano che con i capolavori citati sopra può tranquillamente competere. Un album da riscoprire per assaporare con gusto dei Black Sabbath nuovamente orientati su sonorità cupe e doomish ma con la consapevolezza di trovarsi in una nuova fase musicale... Forse, a quasi quarant'anni dall'uscita di questo disco, grazie alla distanza che il tempo mette tra le cose, "
Born Again" può finalmente essere apprezzato per quello che è, fuori dai pregiudizi e dai facili ma sbagliati paragoni a cui, purtroppo, all'epoca della sua pubblicazione era naturalmente esposto.