Le prime a
colpire sono una stuzzicante copertina e una provenienza geografica un po’ “bizzarra”, ma basta un ascolto di “Thrill me”, il secondo albo dei maltesi
Fire, per aggiungere a queste sommarie forme attrattive un bel numero di argomentazioni favorevoli ben più raziocinanti e consistenti.
Si capisce subito, infatti, che oltre a saperci fare parecchio con i rispettivi strumenti del “mestiere”, i nostri hanno anche una notevole dimestichezza con il pentagramma, a cui affidano con gusto superiore tutta la loro istintiva passione per l’hard rock melodico ottantiano, fatto di nobile retaggio britannico (Rainbow, Deep Purple, Whitesnake, Thin Lizzy, Def Leppard, Thunder) e vivace fervore yankee (Kix, Molly Hatchet, Tesla, Firehouse, Y&T, Great White), per un quadro complessivo aderente a una formula stilistica molto collaudata e “tutelata”, e tuttavia decisamente godibile e coinvolgente.
Ritmica solida, chitarre elettriche corpose e vibranti e linee vocali melodiche ottimamente congeniate e interpretate sono gli ingredienti fondamentali di un disco che pur nella sua linearità e “semplicità” si ascolta molto volentieri, capace com’è di conferire benefiche dosi d’energia e di avvincente forza espressiva, non sempre così facili da riscontrare con analoga intensità, anche in un “periodo storico” piuttosto favorevole a queste sonorità.
Come anticipato, l’elemento imputato di fare la differenza sembra essere proprio il “senso estetico” e la naturalezza con cui la band isolana organizza le sue canzoni, fluidi momenti musicali facilmente fruibili senza scadere nella leziosità, piene di riferimenti e ciononostante mai troppo banali o fastidiosamente derivative (escluso, forse, qualche riff fin troppo familiare!), graffianti con classe, adeguatamente divertenti e di frequente alimentate da uno spirito hard-blues di notevole spessore (esemplari, in questo senso, le tanto rigorose quanto scintillanti “No more pain” e “Back home”).
Difficile operare classifiche di merito in tale contesto, e questo, se da un lato è sicuramente da ascrivere tra i meriti di un albo dalla media qualitativa abbastanza elevata, dall’altro evidenzia anche, probabilmente, la mancanza di brani particolarmente “clamorosi”, capaci di trascinare per il bavero il musicofilo appassionato, portandolo prepotentemente dalla propria parte, scongiurando il rischio di finire per essere confusi nel marasma di uscite del settore, destinate sempre più spesso a giacere mestamente negli scaffali dei negozi di dischi (ma è una sorte purtroppo condivisa da tutti i generi!).
Una bella sorpresa, dunque, che ci consegna da Malta un gruppo di valore degno di essere seguito con quell’attenzione “speciale” riservata a chi ha già fatto molto, ma si ha la netta sensazione possa dare pure di più, per esempio, seguendo e ampliando la traccia lasciata da “That kind of woman” (guitar-sound e vocals ombrose in contrapposizione ad un vaporoso refrain) e “Where are we goin’” (una sorta di interrogazione sulla materia Zeppelin-Whitesnake-iana risolta con un gradevole tocco vagamente “attualizzato”) due pezzi in cui la scintilla della personalità dei Fire appare sufficientemente vivida da giustificare ulteriori speranze di crescita e di felice progressione artistica.
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