Dopo l’uscita di “Deluxe” avevo notato alcuni inattesi commenti poco positivi che puntavano il dito sulla scarsa innovazione portata da Bill Steer nel suo stile rock, un basso livello di crescita, un’ immobilità ancorata al retrò-sound dell’esordio, quasi che ad ogni nuovo disco un gruppo debba obbligatoriamente stravolgere le proprie caratteristiche e lanciarsi in chimeriche sperimentazioni per sorprendere gli ascoltatori.
Forse qualcuno non ha ancora ben digerito il cambio di rotta dell’ex guru del metal estremo, il quale senza rinnegare il proprio passato ha realizzato che gli eccessi musicali possiedono logica in un determinato periodo, poi diventano una zavorra insostenibile a meno di precipitare nel grottesco.
In sostanza, “Deluxe” era un gran disco come lo è questo nuovo capitolo.
Lo stile dei Firebird è questo, e grazie al cielo non cambia nemmeno a fronte di una line-up mutevole come una donna capricciosa, infatti la coppia Nilsson/Atlagic (The Quill) presente nell’album è già stata a sua volta sostituita.
Semplicità, pulizia e passione sono le armi vincenti della formazione, e se vogliamo qualcosa si può già intuire da una cover spartana, poche linee essenziali che tratteggiano Steer e la sua chitarra, sintetica e concisa.
Sensazione di concretezza, perfino modestia, virtù rara in un era di esibizionisti che si nutrono d’immagine. E motivi di vanto ne avrebbe eccome l’axeman Britannico. I Firebird viaggiano a gonfie vele, toccati dalla stessa magia di coloro che hanno segnato la storia, si chiamino Cream quanto Ten Years After o ancora Led Zeppelin.
Hard rock blues vigoroso e pugnace, mai fuori dai canoni di eleganza stabiliti dal suo creatore, belle vocals profonde e piene di sentimento, nervature di preziosi riffs e regali assoli, ancora più rilevanti proprio per la ritrosia del chitarrista a scivolare nella jam autocompiacente che non sarebbe cosa ardua per il suo talento.
Novità del terzo album? Solo piccoli ritocchi, aggiustamenti per rendere più denso il suono, la presenza delle calde tastiere dell’ospite Tomas Pettersson che immette carburante seventies nello splendido treno hard-blues di “Station”, quasi una risposta targata Firebird all’ultimo fenomenale Allman Brother Band. Altro Hammond sensuale in “Off the leash” che ricorda i The Quill della coppia ritmica, un soffio di armonica in “Hard hearted”, ed il resto è Firebird-style potente ed asciutto (“Cross the line”,”End of the day”), romantico ed antico (“Long gone”,”Friend”), una struttura ormai consolidata e riconoscibile che procede tranquilla nel segno della continuità.
Se apprezzate la nuova identità di Steer nei Firebird questo nuovo lavoro vi conquisterà come i precedenti, se invece non vi hanno detto nulla prima non sarà “No.3” a farvi cambiare idea.
Per quel che mi riguarda, continuo a considerare questa formazione come una delle migliori realtà di hard classico e quest’ultima fatica un altro indiscutibile successo, senza alcun bisogno di inutili cambiamenti.
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