La faccenda non è certo nuova. Il rock è ancora una “musica ribelle”? Può avere una valenza “politica” che vada oltre una superficiale sollecitazione alla “rivoluzione” (indirizzata, per lo più, alla “transitoria” categoria sociale dei giovani, istintivamente in contrasto con i tutori delle istituzioni!), più utile alla sua vendibilità che non ad una vera condanna della società in cui si vive? E ancora, il famoso “potere alla parola” in questo contesto espressivo ha ancora (o ha mai avuto) un ruolo preciso o esso stesso è diventato una sorta di “servitore” di quelle corporazioni che critica aspramente e mira a sovvertire? Dalle provocazioni (fintamente) anarchiche di Malcom McLaren agli MC5, dai Crass ai Rage Against The Machine, dai Dead Kennedys alle Riot Girrrls, dai Body Count alle posse italiane, la questione è sempre stata molto dibattuta e spesso i dubbi di “buona fede” si sono alternati ad esplicite accuse di finalità “politico-mercantili”, finendo, nella migliore delle ipotesi, spesso per ridurre il fenomeno ad un semplice tentativo di ammantare il rock di una certa “serietà”, affrancandolo dalle facezie tipiche di una forma di puro intrattenimento.
La discussione è, dunque, particolarmente complessa e necessiterebbe di molto più tempo e spazio, ma ne abbiamo probabilmente già rubato troppo alla disamina di questo disco dei
Palkoscenico Al Neon, che inevitabilmente, con i suoi contenuti e il suo approccio artistico, la evoca e che tuttavia non deve monopolizzare l’analisi di un prodotto musicale.
Diciamo, dunque, che la forza espressiva del collettivo romano e il suo messaggio di sedizione contro il sistema capitalistico e clericale dominante appare sicuramente incisivo e sentito, figlio di una comunicativa “proletaria” abbastanza semplice e diretta, e tuttavia talvolta pure disgiunta dal palese slogan da “volantino sonoro”, interessata anche, attraverso precisi incastri verbali e metrici, a veicolare le sue “denunce” tramite visionarie cronache del malessere quotidiano.
In questo senso, come già descritto nella recensione del loro Ep “Lungo la strada” (il cui programma è qui riproposto in toto), sono la stagione migliore dell’hardcore tricolore, i grandi Massimo Volume e anche qualcosa di quella “scena” nazionale che tra hip hop, metal e velleità di protesta sociale (Sistema Informativo Massificato, Assalti Frontali, Ariadigolpe, Magazzini Della Comunicazione, …), aveva marchiato a fuoco la cosiddetta “cultura underground”, le immagini di riferimento celebrate da questo eloquente “Disordine nuovo”, per una forma di crossover potente, coinvolgente e intelligente, cui contribuiscono pure alcuni “notabili” delle “cantine” capitoline, quali Alessandra Perna e Carlo Martinelli dei Luminal, Daniele Coccia e Cristina Badaracco dei Surgery, Matteo Castaldi “Dj Freak” di Surgery e Radio Rock.
Le
molotov vocali, abilmente lanciate da Enrico e Lorenzo tramite un efficace stile recitato, s’infrangono, infiammandoli, su sensi e coscienze, mentre chitarre taglienti e una sezione ritmica poderosa fungono da catalizzatore alla combustione, in un ambito in cui anche il campionamento del monologo del popolano romano (“
gonfaloniere de Campo Marzio, di professione carettiere”, ma “
a tempo perso pure omo”) Ciceruacchio / Angelo Brunetti, interpretato da Nino Manfredi, tratto dal film di Luigi Magni “In nome del popolo sovrano”, qui riproposto nel brano omonimo, appare come un modo magari un po’
naif ma molto efficiente per testimoniare l’urgenza di una reazione d’impegno al qualunquismo e alla remissività di un paese in cui il concetto di “democrazia” sembra più che mai solo una parola con cui giustificare l’esercizio dei poteri egemoni.
A risvegliare una società sempre più rassegnata alla corruzione, alla menzogna e ormai annientata nei suoi ideali, può anche essere utile una voce forte e rabbiosa come quella dei Palkoscenico al Neon, uno schieramento che prende una posizione “netta” in un mondo di mediazioni e unisce qualità musicali a spirito antagonista … meritano tutto il rispetto che si concede a degli abili, quantunque non eccessivamente originali, frequentatori dei meltin’ pot sonori e chi ama sinceramente questi suoni, anche non condividendone appieno le forme ideologiche ispirative o eventualmente dubitando della loro autenticità, non potrà che riconoscerlo.
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