In Italia sembrano essere diventati tutti cantanti. E’ sufficiente accendere la tv per avere questa impressione netta, tra
Amici di
Qualcuno (a sua volta moglie di
Qualcun altro!), profusione di
Fattori X,
Raccomandati dichiarati e non,
Festival tanto invadenti quanto anacronistici e prevedibili, fino ad arrivare a spettacoli incentrati su bambini che sembrano adulti, francamente più vicini ad un’esibizione di
freaks (evidentemente apprezzata dal
raffinato pubblico televisivo del sabato sera!) che non ad una manifestazione di autentico estro canoro.
Un trend pure
interessante, per certi versi, perché in mezzo a tanta offerta qualcosa di buono
deve emergere per forza di cose, e perché non sono così snob o schizzinoso da condannare in toto questo tipo di situazioni, dal momento che adoro la musica e, tutto sommato, preferisco
vederla un po’
bistrattare piuttosto che non vederla per nulla, ma non vorrei, d’altro canto, che questi programmi diventassero l’unica occasione per imporsi e mi dispiace assistere alla glorificazione di musicisti mediocri, quando le “cantine” sono piene di gente migliore di loro, colpevole solamente di non aver ancora avuto l’opportunità giusta o magari di non “piegarsi” alle regole dello show business.
Questo doppio album celebra proprio la carriera di una delle notevoli laringi “sotterranee” del nostro Bel Paese, e mi consente anche di ricordare ai musicofili all’ascolto quanto sia importante la “curiosità” per questa nostra
magnifica ossessione, e che la ricerca del talento non debba mai fermarsi al
comfort della grande visibilità.
Diego Tuscano è, dunque, uno di quegli artisti che da anni si “sbattono” in nome del rock, del prog, del soul e del blues in una scena musicale vitale e tuttavia spesso troppo lontana dai riflettori, una di quelle voci che dovrebbero rappresentare un esempio di armonia tecnica e vocazionale e invece, nonostante un palmares demo-discografico di buon livello, non ha sicuramente ancora ricevuto un adeguato riconoscimento.
L’avevo già ampiamente apprezzata, pronunciandomi su queste stesse colonne, grazie ai lavori del suo proprietario con SanniDei, ElettroCirco e Shanghai Noodle Factory, ma devo dire che in questo “Il Tusco: i primi deviati erano come me”, sintesi di una corposa parabola artistica (che l’ha visto impegnato, tra gli altri, anche con Autodistruzione Blues, Strani Elettrici, Re di Maggio, Kina e Jjona, tutti qui adeguatamente rappresentati), la passionalità e la pastosità di un timbro mai eccessivo (una rarità in un universo canoro spesso dominato da pindarici gorgheggi e da sterili “svolazzi”), così sensibile da esprimere sempre la migliore soluzione interpretativa, permette a questa voce di acquisire nelle mie valutazioni ulteriore valore e spessore artistici, potendola ammirare, in tutte le sue molteplici sfumature, solcare i generi con grande sicurezza e competenza, forte di quei solidissimi presupposti emozionali e comunicativi che la distinguono dai tanti (troppi?) mestieranti del settore, tutti “ragione” e poco “sentimento”.
Tra cover ottimamente eseguite (Ivan Graziani, Free, Boxer, Husker Du, una strepitosa “Un posto” del Balletto Di Bronzo!), brani live, pezzi editi e inediti, il nostro Diego mette in questo lavoro tutta la sua enorme passione per la Musica, che si chiami hard, blues, funky, pop, punk, soul, psichedelia, prog, fusion o qualcos’altro, trasmettendola all’ascoltatore con una forza espressiva travolgente, che non trascura nemmeno bagliori di un’ironia vagamente “grossolana” (“Rodolfo Pekorino”, “Oh pacioccone”, “Banana”, …), alla fine non sgradevole sebbene, almeno dal mio punto di vista, non del tutto convincente.
Al di là di questi dettagli soprattutto lirici, il disco è praticamente irresistibile nell’omaggiare (esplicitamente o implicitamente), con un’intensità, un’attitudine e una naturalezza non comuni, maestri del calibro di Spooky Tooth (quelli che hanno fornito “Better by you, better than me” ai Judas Priest, per i più superficiali e distratti!), Free, Savoy Brown, Humble Pie, Sly & the Family Stone, Traffic, Taste e Cream, nell’onorare il prog tricolore o nell’accostarsi a quanto realizzato da formazioni come Voodoo, Timoria, Ossessione e Ritmo Tribale, rappresentanti un terreno veramente fertile per fare germogliare al meglio delle loro possibilità il vellutato organo della fonazione modulata de Il Tusco e gli strumenti dei suoi valentissimi pards, tutti, pur nella varietà di una ventina d’anni di “professione”, costantemente allineati alla consistente freschezza e alla classe del loro frontman.
Se vi piacciono Paul Rodgers, Dave Walker, Marvin Gaye, Steve Winwood e Lou Gramm, amate il calore, l’anima, la grinta e perché no, il
sex-appeal di corde vocali interessate a vibrare senza inutili iperboli, puntando dritte alle profondità delle emozioni, cercate Diego Tuscano e le sue presenti e future vicende espressive … è semplicemente uno che canta …
per davvero.