Generalmente non sono favorevole ad operazioni di questo tipo, in cui un personaggio più o meno noto (in questo caso Uwe Lulis) e un’etichetta più o meno grande (in questo caso la Limb Music), decidono di mettere le mani su un capolavoro della storia del metal, pur se di culto. Non sono d’accordo perché solitamente le operazioni di remix e rimasterizzazione finiscono sempre con lo snaturare il sound originale dell’album, facendogli perdere quell’alone di magia che conservava da anni anche e forse proprio per quel suono puro, primordiale, specchio fedele della musica di quel periodo. Ed effettivamente così è stato anche per “Master of disguise”, primo e mitico album dei
Savage Grace, band di Los Angeles, pioniera e punta di diamante della scena speed metal degli States dei primi anni ’80. Sentire il suono compresso, più cupo, con i trigger sulla doppia cassa, o piccolissime variazioni qua e là rispetto ai brani originali, non mi ha certo fatto piacere. Di contro, però, è sempre un’emozione riascoltare i brani mitici che compongono l’album, e anche se per collezionisti incalliti come me le bonus track, di cui parleremo più avanti, non sono certo una novità, sicuramente come operazione è ottima per far conoscere ai più giovani un gruppo davvero speciale, rimasto per troppi anni relegato a cult band, a discapito di colleghi forse meno dotati ma più fortunati a livello di vendite. Tra l’altro le versioni per la stampa hanno tutti i brani sfumati verso la fine. Per fortuna li conoscevo già a memoria, altrimenti le imprecazioni si sarebbero sprecate… Ad ogni modo, critiche e imprecazioni a parte, perché questo disco è così importante? Lo è, appunto, perché lo speed metal inteso in senso stretto è stato un fenomeno estremamente di nicchia, che ha prodotto pochissimi gruppi, visto che generalmente le band o rimanevano sul classic metal, o si spingevano oltre sfociando nel thrash. E quelle poche band che lo suonavano erano stupende, perché riuscivano a miscelare alla perfezione le spiccate melodie del classic con la velocità del thrash, e ne uscivano brani devastanti. Come rimanere impassibili ascoltando la title track, o “No one left to blame” o “Bound to be free”, vere e proprie schegge impazzite sparate a mille? C’è posto anche per brani più lenti, ma ugualmente belli, come “Betrayer” o “Fear my way”, ma “Master of disguise” è uno di quegli album bellissimi dall’inizio alla fine, senza cali, di quelli che ti fanno venire voglia di riascoltarli all’infinito… La voce di Mike Smith è una delle più belle del genere, così come pregevole è il lavoro di Christian Logue alla chitarra, tessitore di riff, assoli e melodie da cardiopalma, sostenuto splendidamente dalla sezione ritmica indiavolata di East e Finch. Venendo alle bonus track, invece, troviamo l’intero EP “The dominatress”, uscito due anni prima dell’esordio, che vede alla voce ancora il vecchio singer Jon Birk, e Kenny Powell ad affiancare Logue alla chitarra, prima che lasciasse la band per formare gli Omen. Ma soprattutto troviamo il gruppo ancora alle prese con un metal di stampo più classico, meno veloce, più lineare, ma non per questo non di valore. Basti ascoltare la title track o “Live to burn” per capire che il livello compositivo era già alto. Ma le sorprese non finiscono qui, infatti sono state inserite anche le tre canzoni che andavano a comporre il primissimo demo della band, quello del 1982, che conteneva anche “Sceptres of deceit”, famosa per essere stata inserita nel secondo volume della mitica compilation “Metal massacre”. Anche qui c’è un cambio alla voce, visto che nei primissimi anni della band era Dwight Cliff ad occuparsi di urlare nel microfono, e paradossalmente i tre pezzi sono molto più affini all’esordio e non all’EP, essendo più diretti e veloci, pur se menomati da una registrazione non proprio all’altezza, ma non scordiamoci che siamo nell’82 e stiamo parlando di un demo di esordio, quindi tutto è perdonato. Non ho capito come mai “Sceptres of deceit”, che nel demo originale era il terzo brano, qui è stata messa prima degli altri due… misteri delle ristampe… A chiudere il tutto, una versione embrionale di “No one left to blame”, presa dal demo del 1984, quasi identica a quella che poi andrà a finire sull’album, se non per il suono, ovviamente molto più grezzo. Beh, cos’altro aggiungere… Questo è un disco da avere assolutamente, possibilmente nella versione originale in LP, ma se non la trovate potete accontentarvi anche di questa ristampa, se non altro per le bonus track. I Savage Grace sono un piccolo gioiellino da rivalutare, se lo meritano assolutamente…
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