Riguardo “After the fall from grace” si può fare lo stesso discorso fatto per la ristampa di “Master of disguise”, anche se le differenze dovute al restyling in questo caso sono meno marcate rispetto a quelle del debut album. Questo perché la produzione dell’album originale era già migliore all’epoca rispetto a quella del primo disco, quindi Uwe Lulis è dovuto intervenire di meno per migliorare il sound. Detto ciò, quali sono le differenze sostanziali tra i due lavori? Beh, come spesso accadeva all’epoca, per i motivi più disparati, qualcosa si rompeva all’interno dei gruppi, e quell’alchimia che aveva contribuito a fare grandi determinati album veniva a mancare, ed è per questo che “After the fall from grace” è leggermente inferiore al suo predecessore. Intanto l’abbandono di Mike Smith ha spinto il leader Christian Logue ad occuparsi anche delle parti vocali, con risultati sicuramente al di sopra di parecchi singer dell’epoca, ma comunque inferiori al suo bravissimo predecessore. Ma qualcosa cambia anche nel sound generale, con un progressivo ammorbidimento e una forte influenza delle sonorità più sbarazzine che si respiravano a Los Angeles in quegli anni. Per carità, lo speed è sempre presente, basta ascoltare brani come “Flesh and blood”, l’opener “We came, we saw, we conquered” (se si esclude l’intro “Call to arms”), oppure “Age of innocence”, ma c’è posto anche per brani più lenti e catchy, come la title track o “Trial by fire”. Ma al di là del discorso velocità, quello che a volte manca sono le stupende melodie di chitarra di cui è pieno invece il disco d’esordio, quelle che hanno da sempre fatto la differenza rispetto ad altri dischi dell’epoca. Chiariamo però, il secondo lavoro della band di Logue non è un brutto disco, semplicemente non ha mantenuto in pieno le aspettative dell’esordio, ma stiamo parlando comunque di un disco al di sopra della media delle uscite di quegli anni. Anche in questo caso la Limb Music ha inserito delle bonus track, e più precisamente tutto l’EP “Ride into the night”, “Mainline lover”, brano del 1993 originariamente presente sulla compilation “American metal – heavy’n’dirty”, e due brani live, credo registrati di recente. Riguardo l’EP c’è poco da aggiungere, se non che segna l’abbandono dello storico bassista Brian East e conferma ancora una volta la propensione del gruppo per copertine raffiguranti smaliziate donnine semi nude, quasi sempre in evidente sottomissione. Musicalmente non sposta di molto le coordinate della band, con la title track, posta in apertura, bella veloce e diretta. Più riflessive le altre due song, mentre simpatica risulta la cover del mega classico dei Deep Purple “Burn” in versione speed, con tanto di doppia cassa. “Mainline lover”, invece, mette definitivamente e prepotentemente in evidenza le influenze sleaze di cui parlavo prima, con un roccioso mid tempo dal forte sapore rock. Stesso discorso per le due tracce dal vivo, con la band quasi irriconoscibile (sembra di ascoltare gli Skid Row!!!). Come per il precedente disco, ristampa dal sapore più che altro divulgativo, per la riscoperta di una band cardine di quegli anni infuocati. Spero che possa avvicinare qualche giovane alla vera essenza dello speed metal, mentre per i più vecchiotti di voi (me compreso), resta comunque meglio rispolverare il vecchio LP…
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