Nonostante l’orribile copertina, come si fa a non amare un album che inizia con il singer che urla con tutto il fiato un bel “Fuck you”??? Se poi, una volta iniziato, il pezzo conferma questa buona impressione, tanto meglio, ed effettivamente “With no illusion (I’m back)” è un ottimo brano di street rock alla Guns (forse anche un po’ troppo Guns, ma vabbè…). E un ottimo riff, molto ruffiano, introduce “Breaking is good”, e mette di nuovo in evidenza degli ottimi chitarroni e la voce di Matt Dean Brownstone, e non ci vuole un genio a capire, già dal nick e dal timbro usato, a chi faccia il verso il palestrato singer bellunese (non capisco perché sul loro MySpace c’è scritto Germany, visto che sono veneti… misteri della geografia…). La band ha un buon sound, grezzo ma di gusto, e in più di un’occasione mi hanno ricordato i nostrani The Bulletz (R.I.P.) per la capacità di risultare al tempo stesso potenti ma anche melodici. “Call you”, invece, ha i toni un po’ più cupi, e segna anche la linea di confine tra l’ottima prima parte dell’album, e il resto, decisamente non a livello. Cosa succede? Succede che non so per quale strano motivo, tutti i buoni propositi dell’inizio si perdono, ma non solo, il gruppo cambia quasi radicalmente sound, e dal rock irriverente dei primi due brani andiamo a finire prima ad una sorta di rock decadente e poi ad una specie di metal scialbo, con brani che perdono buona parte della carica sfacciata che mi aveva entusiasmato fin’ora. L’unica spiegazione che riesco a darmi è che i brani non siano stati composti tutti nello stesso periodo e che qualcosa sia cambiato in seno al gruppo a livello stilistico, e purtroppo questo si sente. A partire proprio dalla voce, che se nei primi brani risulta strafottente e pungente, poi diventa sforzata e quasi fastidiosa, con un tono quasi epico che non c’entra nulla con il resto. Evidentemente il singer è convinto di essere una specie di portento, in grado di fare strani vocalizzi, ma vi assicuro che così non è… Sentite “’till the end of all time” o le prime due bonus track e sicuramente penserete di stare ascoltando un’altra band… Per fortuna la conclusiva “Use me baby” riporta il tutto in carreggiata, e c’è una sorta di chiusura del cerchio con il ritorno alle sonorità dei primi due brani. Insomma, un album diviso a metà, in tutti i sensi, sia stilisticamente che qualitativamente. Se è vera la mia ipotesi sul fatto che la band ha composto le canzoni in periodi differenti, spero che quelli più rockeggianti siano anche i più recenti, perché vuol dire che anche i prossimi saranno così, e quindi ci si può aspettare un nuovo disco decisamente più omogeneo e interessante di questo. Se così non fosse, non vedo un futuro molto roseo per i Double Cross. Chi vivrà vedrà…
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