La scena musicale underground del nostro paese continua a sfornare nomi parecchio interessanti nell’ambito heavy/stoner rock, filone che qui da noi possiede un ridotto, ma caparbio, seguito di appassionati.
La rivelazione del periodo si chiama
Black Rainbows, trio romano che annovera tra le sue file l’eclettico chitarrista/cantante Gabriele Fiori, già segnalatosi tempo fa con i Void Generator (da procurarsi, se ancora possibile, il loro album “We have found the space”, 2005 ). Anche l’attuale band non è esordiente, visto che ha già alle spalle il precedente “Twilight in the desert” del 2007.
Il nuovo disco inizia con il riff pastoso e cadenzato di “Himalaya”, ed è sufficiente per rendersi conto che il gruppo possiede il tiro giusto: potente, diretto e torbido. Brani tosti, con tratti muscolari ed improvvise soluzioni magnetiche, che ricordano il sound caliente di nomi quali Los Natas, Astroqueen, Sparzanza o i ben più noti Nebula. Gruppi di nicchia insieme ai quali i nostri Black Rainbows non sfigurano certo.
Lo dimostrano episodi rocciosi ed avvolgenti come “Under the sun”, “Bulls & bones”, l’intrigante “In the city” o l’articolato trip conclusivo “Space kingdom”, una di quelle lunghe escursioni cosmiche che tanto piacciono ai fans del genere e che la band svolge con evidente conoscenza della materia.
Bene ha fatto la piccola etichetta Longfellow Deeds a concedere una possibilità a questo terzetto di connazionali, sicuramente una delle formazioni più interessanti emerse negli ultimi tempi.
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