“
Adesso proviamo a ricostruire questa bella storia …”, con queste parole Elena Di Cioccio, guest star nel video di “Freeek!”, interrogava Mallory, la cyborg-girl che rappresenta l’immagine simbolo e la “dea delle arti” dei
Mallory Switch.
A differenza del cibernetico simulacro che strenuamente non profferiva parola, noi ci
azzardiamo a farlo, seppur per sommi capi: progetto nato nel 2006, due Ep all’attivo, prodotti con l’autorevole contributo di Marco Trentacoste, la realizzazione di alcuni video, tra cui, appunto, quello in cui rileggono il popolare brano di George Michael e che ha dato al gruppo una notevole visibilità e poi questo full-length, ancora una volta impreziosito dalla presenza del noto producer italiano che ha collaborato fattivamente con Deasonika, LeVibrazioni, Rezophonic e Lacuna Coil.
La musica dei nostri potrebbe essere definita come una specie di
scontro (inteso anche nell’ottica di un
crash di
Ballardiana memoria) tra sensibilità elettro-pop, decadenze dark e crudezze industriali, quasi fosse il risultato di una vulcanica copula tra N.I.N. e Garbage.
Al di là delle caratterizzazioni “ad effetto” che piacciono tanto agli scribacchini (e spero, almeno un po’, pure ai lettori!), i Mallory Switch sanno combinare piuttosto bene chitarre e ritmiche voluminose, elettronica d’ambiente o di
antico retaggio tipicamente new-wave e melodie accattivanti e sensuali (ed ecco il motivo della precedente allegoria!) orchestrate con dovizia dalla voce conturbante, fragile, ma anche autoritaria dell’irrequieta Audrey “OTTI” Lynch.
Una sorta, dunque, di
meccanizzazione delle sensazioni (i tre amano autodefinirsi come propugnatori di un “rock elettromeccanico per orecchie e menti raffinate ed inquiete”) che funziona piuttosto bene, sfruttando un pertinente dosaggio degli elementi in grado quasi sempre di allontanare lo spettro dello “studio a tavolino” e talvolta addirittura capace di mettere in campo un’alchimia di suoni ed intenzioni davvero efficace, garantendo all’ascoltatore appassionato un impatto sensoriale potente e intenso.
E’ il caso di “Dirt”, abile nell’inoculare un virus emotivo dagli effetti tanto immediati quanto devastanti (con un sentore di Marilyn Manson nell’aroma e la cosa si ripeterà in forma di fugaci
flash sonori anche in altre sezioni del programma), di “The last man on Earth”, un brano dal design vagamente sperimentale (almeno nel contesto dell’albo) con i suoi squarci hip-hop garantiti da Beans (rapper degli americani Antipop Consortium), di “No evil” e “Flow”, marchiati da un persuasivo crescendo incombente, pulsante e notturno e ancora di “Mumbling my time”, con le sue cupezze simil-mantriche e della conclusiva “Mother Earth” (in realtà il disco si chiude con una breve ghost track …), appena inferiore, come valore assoluto, alle precedenti citazioni e tuttavia intrigante nella sua struttura armonica di notevole suggestione.
“Mallory”, appare, in ultima analisi, come un ottimo prodotto di rock sintetico, adatto alle masse, ma non per questo troppo banale (nemmeno per quanto riguarda l’impianto narrativo interamente dedicato alla natura e alla sua tutela) e ruffiano, capace di slanci e intuizioni anche all’interno di un percorso ispirativo abbastanza riconoscibile.
La
bella storia continua, può regalare fin da questo nuovo capitolo parecchie soddisfazioni ai cultori del genere e, in prospettiva, consente ai suoi autori, aggiungendo solamente un pizzico di superiore personalità, di aspirare ad obiettivi artistici perfino più gratificanti e inattaccabili.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?