Il ritorno dei
Void Of Silence è la notizia musicale del 2010, anzi forse dell’ultimo lustro, dato che erano ben 6 anni che la band aveva fatto perdere le proprie tracce dopo il capolavoro “
Human Antithesis”.
Sono personalmente legato alla band da un rapporto che si perde lontano nel tempo. All’epoca (2002) scrivevo per Metal Shock e lessi un’intervista su metal.it all’allora boss della Nocturnal Music che parlava bene di questi VoS, i quali avevano appena pubblicato “
Toward The Dusk”, disco passato criminosamente sotto silenzio. Mi misi subito in cerca del sito dell’etichetta e scaricai alcuni sample. Ebbi la Rivelazione.
È nato così l’amore viscerale che provo per questa band, della quale mi misi subito sulle tracce. Avevano appena cambiato etichetta, accasandosi alla, da poco nata, Code666. Ecco come entrai in contatto con l’etichetta. Mi feci spedire i dischi, li recensii, li incensai, e sono stato uno dei primi (se non il primo in assoluto) a diffondere il verbo dei VoS, a comprenderne subito appieno la loro grandezza. Non a caso il primo top album della band (nonché il primo top album assoluto per la Code666) risale alla mia recensione di “
Criteria Ov 666” su Metal Shock.
Ricordo con piacere l’invito che la band mi fece in quel di Roma per festeggiare il successo del disco, invito che, per questioni di opportunità, declinai.
Ma da allora sono divenuto amico di
Riccardo Conforti, sebbene non ci siamo mai incontrati, ma abbiamo sempre condiviso una sorta di affinità elettiva, al punto che ho vissuto, sebbene de relato, le vicissitudini della band e, quando Fabban lasciò, lo stesso Riccardo mi invitò a fare un provino per diventare il suo cantante, anche questo declinato. E molti si stupiranno nel sapere che uno degli autori della musica più glaciale e desolante che ci sia in giro è un accanito surfista delle onde di Ostia lido.
Mettendo da parte questi miei ricordi, veniamo al disco. Tante sarebbero le cose da dire, ma vorrei focalizzare l’attenzione su due aspetti fondamentali del sound dei VoS.
In primis c’è un nuovo cantante,
Brooke Johnson degli
Axis Of Perdition. Il singer non ha la malvagità vocale di
Fabban, né la teatralità di
Alan Neamthanga, ma è assolutamente perfetto per il sound dei VoS, le sue vocals, pulite, algide, filtrate, talvolta quasi asettiche, contribuiscono a comunicare il mood delle composizioni in maniera pressoché perfetta. La sua voce è uno strumento, sempre melodico, che si accorda perfettamente con la lenta l’apocalisse che Riccardo e Ivan disegnano lungo i solchi di questo incredibile disco.
In secondo luogo la grossa novità è proprio il sound, che è cambiato molto dai tempi di “
Toward The Dusk”, perché quel sound maligno, cattivo, venefico, è dissolto in un sound che è doom nel vero senso della parola, lento, doloroso, melanconico, devoto a certo gothic più cupo, con chitarre desolate e desolanti, canti luttuosi, angoscianti litanie permeate da glaciali atmosfere ambient/industrial. È musica meno oscura degli esordi, ma molto più dolorosa e oppressiva.
È musica che dopo il primo ascolto ti chiede requie, ha bisogno di restare là, inerte, per essere metabolizzata, anche se il termine adatto è “subita”, in attesa di un nuovo ascolto, che porti ancora più in profondità, verso abissi ancora insondati.
La disperazione in “
None Shall Mourn” raggiunge vette quasi inesplorate per il genere e la stessa title-track è un sinistro e antico monolite eretto nel bel mezzo del deserto, ultima vestigia della città senza nome di lovecraftiana memoria.
“
The Grave Of Civilization” rappresenta una lenta e terrificante discesa negli infiniti abissi della vacuità e della disperazione, dove tutto alla fine sfuma e si dissolve in un incessante flusso di coscienza, fino a che non esisterà più nulla.
Non c’è speranza nella musica dei VoS, questo è il vero funerale dell’umanità.