L’anno di grazia 2010 si sta rivelando munifico di ottimi dischi, dischi che solo il tempo dirà se sono capolavori capaci di rimanere impressi nella memoria collettiva, ma che, pur tuttavia, almeno personalmente, mi stanno regalando tonnellate di emozioni.
Questa volta è il turno dei
Lantlôs, qui al secondo disco, band tedesca che ruota intorno al polistrumentista
Herbst aiutato, alla voce, da quel
Neige già apprezzato da queste parti con
Alcest e
Amesoeurs.
Musicalmente siamo sui territori delle bands già citate, in particolare
Alcest, anche se con evidenti differenze. Il tratto comune è però la voglia di sperimentare, di percorrere nuove strade, esplorare nuovi territori, di giocare con la musica e le influenze, ibridarle, osando.
Al centro c’è lei, la chitarra di
Herbst che, quando non è impegnata a ricamare il classico rifferama black metal, scava solchi nell’animo dell’ascoltare e li riempie di note e melodie, di melanconia e depressione. Lo si dirà post black, ma a mio modesto parere inquadrare questo “
.neon” nel filone black è abbastanza riduttivo, sebbene ne porti le stimmate nel proprio dna.
La musica dei
Lantlôs è molto di più, è qualcosa di inesprimibile, di fronte alla quale si resta muti, in silenzio, contemplando la bellezza di passaggi progressivi che fanno viaggiare su onde emozionali, prima di essere sbalzati via da improvvise sfuriate di depressive black metal.
Le canzoni. Sono sei, tutte lunghe, ma lasciate che vi parli di “
Pulse/Surreal”, che è un vero capolavoro, dove all’inizio sembra di sentire il miglior
George Michael, quello più intimista e raffinato, con un mood lounge/jazz che più volte cambia forma, portando lontano, verso lidi quasi esotici.
E come dimenticare la conclusiva “
Neon”? Unico pezzo strumentale, non sporcato dalla sgraziata voce di
Neige, nel quale si sublima l’essenza stessa della musica dei
Lantlôs, una musica che è strumento per guardarsi dentro e conoscersi meglio; una musica che è abbandono, oblio, è dimenticanza, è voglia di naufragare nel mare dei ricordi. E viene voglia di piangere.
Unico appunto che posso fare a questo disco è la scelta di usare, talvolta di abusare, dello screaming black. Lungi da me voler sindacare la libertà dell’artista di scegliere il canone espressivo più opportuno col quale esprimere la propria arte, pur tuttavia, talvolta, di fronte a certi paesaggi mozzafiato, a certe prospettive sconvolgenti, lo screaming rompe un po’ l’atmosfera e l’incanto.
Al di là di queste considerazioni piuttosto soggettive, questo disco è un “must have” per chi vuole un purissimo distillato di emozioni. Se vi sono piaciuti
Alcest e
Les Discrets, amerete alla follia i
Lantlôs. E buon pro vi faccia.