Fra i pochi integerrimi baluardi rimasti della scena thrash anni '80, i teutonici Destruction, da poco reduci da un nostalgico ed trionfale tour con gli amici Kreator e Sodom, danno ora alle stampe il successore di quel "The Antichrist" che aveva spaccato i pareri della stampa a metà. Molti, infatti, non digerirono un disco che, alla lunga, sembrava battere sempre sulle stesse tematiche, mentre i fan più intransigenti della band non mancarono di celebrare l'immutabilità del sound creato da Schmier e soci. "Metal Discharge" segna una sorta di revisione compiuta dal terzetto, orbo del precedente drummer Sven, sostituito in questa sede da Marc: i brani, pur restando indubbiamente vicini alle radici sonore della band, risultano più strutturati e fantasiosi di quanto ascoltato negli album successivi alla reunion, non limitandosi solo fare sfoggio di velocità fine a se stessa, ma trovando anche spazio per un riffing mai così curato. Il calore della registrazione analogica, una scelta in controtendenza rispetto al digitale imperante, fornisce alla produzione un feeling dal sapore molto vintage non facendola però risultare obsoleta. In episodi come "The Ravenous Beast", "Mortal Remains" e "Savage Symphony Of Terror" è chiara l'intenzione di recuperare le sonorità di classici della passato discografia come "Curse Of The Gods", "Bestial Invasion" e "Invincible Force", ignorando deliberatamente le influenze provenienti dal thrash d'oltre oceano senza però tralasciare alcune interessanti figurazioni ritmiche dal sapore moderno. E' soprattutto la performance del carismatico leader Schmier a sorprendere, risultando tagliente ed aspra come non si sentiva dai tempi del celebrato "Release From Agony". "Metal Discharge" tiene quindi fede al proprio titolo, presentando una manciata di brani, appena quaranta minuti la durata del disco, che sorprende per impatto e freschezza, risultando eterogenea e mai noiosa anche dopo parecchi ascolti. Un ritorno alla grande per una band che finalmente sembra aver conquistato quei riconoscimenti di pubblico e di critica che avevano sempre latitato, nonostante l'indubbia popolarità, nella prima parte della carriera.
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