La storia di
Max Cavalera è la parabola di una musicista che si è messo nella scomoda, scomodissima, posizione di imitatore di chi lo imitava.
Vissi con profonda delusione lo split con i
Sepultura dopo il seminale “
Roots”, ma lo seguii con passione nella nuova avventura targata
Soulfly e devo ammettere che il debut era davvero un gran bel disco, il quale riprendeva l’idea fondamentale della contaminazione di “
Roots”, l’idea della tribù, e cercava di svilupparla. E poco male se la solfa era sempre la stessa e se Max conosceva solo tre parole in inglese in croce, ovvero bleed, fight e mutafucka.
Da quel momento è stata notte fonda, perché pian piano c’è stato un mero riciclo di idee, con un progressivo inaridimento della vena compositiva, fino al punto più basso con “
III”, un disco intellettualmente disonesto.
Da quel momento mi consta che Max, sebbene non immediatamente, abbia capito che il tribal sound non tirava più come ai tempi del debutto e quindi, di conseguenza, ha progressivamente asciugato il sound degli orpelli tribali, fino all’odierno “
Omen”, nel quale non ve n’è praticamente traccia.
Questo ci porta direttamente al nocciolo del problema. Oggi i
Soulfly suonano un odinario metalcore, con punte di aggressività e violenza sonora talvolta buone, ma senza la scintilla compositiva e, concedetemelo, la convinzione dei tempi dei Sepultura (quelli veri).
Certo, “
Off With Their Heads” è un sincero tributo agli
Slayer, “
Counter Sabotage” è una botta non da poco, con finanche un pregevole assolo di
Marc Rizzo, i duetti (Max non ha ancora abbandonato l’idea di tribù) sono con gente cazzuta,
Greg Puciato (
Dillinger Escape Plan) su “
Rise Of The Fallen” e
Tommy Victor (
Prong) su “
Lethal Injection”, ma l’impressione generale che se ne ha è quella di un disco abbastanza ignorante, con poche idee suonate in maniera veloce, violenta e scriteriata.
“
Vulture Culture” è quasi imbarazzante nella sua adolesescenziale voglia di voler spaccare tutto, peccato per i
Soulfly che oggi in giro ci siano bands con molto meno malizia di loro, ma capaci, in termini di violenza e brutalità sonora, di papparseli in un boccone.
Metterla sul piano di chi ce l’ha più grosso non è una buona idea per Max e soci, anche perchè loro sono i
Soulfly e non gli
Slayer.
E pensare che questo disco, secondo la mia modesta opinione, riceve una bel calcio in culo dalla produzione di
Logan Mader, che, memore del suo passato nei
Machine Head all’epoca del mastodontico “
The More Things Change”, sa come donare spessore e corposità al suono.
Diciamocela tutta, se questo non fosse il nuovo disco di
Max Cavalera nessuno se lo filerebbe.
Non metto in dubbio che possa piacere ai fan, né sto dicendo che faccia schifo, perché, in definitiva, è ancora possibile farsi belle pogate, e sicuramente dal vivo, se suonato a dovere, darà delle sincere soddisfazioni.
Pur tuttavia, il giudizio su questo disco è poco oltre la sufficienza, ma solo perché ho ancora stima per quello che Max ha fatto in passato e perché stasera m’è presa bene, altrimenti qui ci scappava un voto compreso tra il 3 e il 4.
Ps. La solita strumentale, “
Soulfly VII”, fa cagare. Ma che senso ha ancora? Se ci ripenso cambio il voto!