Ritratti in copertina, i veneti
Speedjackers sembrano davvero quei “favourite sons” ai quali fa riferimento il titolo del loro album. Giovani, un po’demòde e con aria mite e tranquilla, potrebbero benissimo essere l’ennesima boy-band emersa da uno degli inguardabili talent-show televisivi.
Nulla di ciò, per fortuna. Questa è una vera e convincente formazione rock, una guitar-army che schiera ben tre chitarristi ed una sezione ritmica onesta e precisa. Il disco profuma di antico, un rock’n’roll essenziale, nervoso ed arioso, dal rivestimento molto americano, ricco di buon gusto e melodie intelligenti.
Hit-songs come “Shake it” o “Wild side”, col suo doppio volto di semi-ballad e di hard rock diretto, sono i tipici brani ideali per le rock-radio più aperte e competenti, se l’Italia ne avesse qualcuna. Atmosfere calde ed inaspettatamente mature per un gruppo così giovane, chitarre che lavorano all’unisono per poi alternarsi nei ficcanti solismi alla maniera di Eagles o Lynyrd Skynyrd, ovviamente con le dovute proporzioni.
Ma anche colpi più secchi e impetuosi, vedi “I’m not a superman”, dove emerge un atteggiamento sfrontato e punkeggiante, ed altri casi dove si passa al cantato in italiano, “Recidivo” e “Non saremo qua”, che pur discreti e grintosi mi fanno sempre preferire l’idioma anglosassone per quanto riguarda il rock. Resta comunque buona anche la parte vocale, sempre equilibrata e mai fuori dalle righe, sia nelle preponderanti fasi energiche che nei pochi passaggi di ampio respiro.
Una piacevole rivelazione gli Speedjackers. La spensierata freschezza nel rileggere temi e suoni già antichi molto prima della nascita di questi musicisti, dona al disco un feeling sia moderno che “vintage” senza cadere nella minima contraddizione. Questo è già un bel risultato per la formazione italiana, appetibile ai rockers di ogni generazione.
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