W l’Italia! Quando penso a
“Vision Divine” mi viene da sorridere. Il motivo? È stato registrato e prodotto presso i Rodgers Studios di
Giancarlo Pasquini (noto ai più come
Dave Rodgers) a qualche chilometro di distanza da casa mia in quel di Mantova (non proprio una metropoli insomma). E in anni in cui per fare un disco che “suonasse” si doveva andare all’estero, questo esordio del supergruppo italiano non aveva davvero niente da invidiare alle contemporanee produzioni di
Sascha Paeth, Mikko Karmila e compagnia bella. La domanda, lecita, è: “che cavolo sono andati a fare a Mantova ‘sti ragazzi per fare un disco?” È una lunga storia, io la so, ma non la racconterò in questa sede. Per i curiosi ne possiamo riparlare in privato…
Chi sono i
Vision Divine (almeno quelli delle origini)?
(Immaginate un tono epico, tipo il narratore all’inizio di qualche film). “In principio erano i Labyrinth, orgoglio nazionale dedito a un power metal di chiara matrice europea guidato dalle idee musicali di
Olaf Thörsen e di
Fabio Lione. Poi
Lione si concesse “anima e corpo” ai Rhapsody, divenendo un mero esecutore, e fu di fatto obbligato a rinunciare a qualsiasi apporto compositivo all’interno della formazione triestina. Ecco allora che i due toscanacci amici di infanzia si ritrovarono, pensando di tornare a scrivere musica insieme.” Risultato? Un disco dei Labyrinth con
Fabio Lione alla voce…
Non banalizziamo, però resto abbastanza convinto che questa realtà tutta italiana abbia dato i frutti migliori negli anni seguenti, quando è riuscita veramente a ritagliarsi uno spazio affine a quello dei Labryinth ma “diverso”.
“Vision Divine” è complessivamente abbastanza tirato e risulta in alcuni frangenti più originale (
“New Eden”, studiato a tavolino sull’estensione vocale di
Lione,
“Forgotten Worlds”, uno strumentale a cavallo tra metal neoclassico e la musica da film,
“Of Light And Darkness”, un bel lento guidato dal pianoforte con un’azzeccata voce femminile a cantare con
Fabio) che in altri (
“Black Mask Of Fear”, “The Miracle” e
“Forever Young” soffrono un po’ di “labyrinthite”). Non mi esprimo sulla cover di
“The Final Countdown” degli Europe, magari un po’ ingenua ma coerente con il periodo storico. La performance è ottima da parte di tutti, in particolare sul fronte tastieristico, con delle trovate a metà strada tra
Kevin Moore e
Jens Johansson (sembra assurdo ma è così).
A recensirlo oggi lo considero un esordio discreto, anche se all’epoca era assolutamente allineato con quanto di meglio si potesse ascoltare in giro.
“The best is yet to come” si scrive ogni tanto e il meglio dei
Vision Divine, lo ripeto, è arrivato dopo.