Ho seguito, praticamente dagli esordi, gli
Arthemis e li ho visti passare, con disinvoltura e buoni risultati, dal Power/Speed Metal dei primi lavori ad un via via più insistito passo Hard Rock in grado di assimilare soluzioni più moderne ed attuali.
Il nuovo (e sesto) album, "Heroes", si allinea a questa attitudine, tuttavia scopriamo degli Arthemis largamente rinnovati a livello di line-up, dato che ritroviamo il solo chitarrista Andrea Martongelli, accompagnato da nuovi compagni di viaggio, un'inedita sezione ritmica (Damiano Perazzini e Corrado Rontani) e sopratutto un nuovo cantante, Fabio Dessi che ha l'arduo compito di sostituire quell'Alessio Garavello che aveva contrassegnato i precedenti quattro lavori del gruppo, e bisogna riconoscergli di aver saputo incastrarsi nelle trame musicali dei "nuovi" Arthemis con disinvoltura e buoni risultati.
L'opener "Scars on Scars" è sì dinamica ma mostra poca personalità, sopratutto a livello di refrain, una pecca cui pone subito rimedio la successiva "Vortex", grazie alla verve messa in campo ed al lavoro svolto a livello di voci, sia nei cori sia nella prestazione di Fabio, vocalist più grezzo e meno impostato del suo predecessore, ma che scopriamo ben inserito in questo contesto.
Un contesto dove non si trovano che poche tracce del Power dei loro primi passi, e l'Hard Rock è presente in misura minore, anche rispetto al precedente "Black Society". La ritmica incalza ed il guitarwork di Martongelli è graffiante, ma anche in grado di dare il giusto groove ad un brano ruvido come "7 Days", che però non sfrutta appieno l'occasione, per un passo forzato e poco fluido. Una lacuna, questa, che tocca anche "This Is Revolution", mentre ne escono decisamente meglio la thrasheggiante (il riff richiama quello di "Peace Sells...") "Resurrection" e "Home", robusto mid tempo (alla Rage) che strizza un occhio alle melodie, che si fanno poi tristi e darkeggianti sulla power ballad "Until the End". "Crossfire" è invece un interlocutorio strumentale (e tale si rivelerà la conclusiva "Road to Nowhere") che lascia presto spazio ai chiaroscuri della titletrack, tra quali si insinuano anche una chitarra spagnoleggiante ed un assolo dai sapori d'Oriente.
Manca ancora qualcosina per poterlo collocare ai vertici della discografia degli Arthemis, ma preso singolarmente "Heroes" si segnala come un bell'album, riuscito e con spunti interessanti.
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