La proposta dei
Deflore non è di facile fruizione. Si tratta di rock elettronico-industriale, quasi integralmente strumentale, sviluppato in lunghe tracce alienanti regno di sperimentazione e ricerca sonora. Una musica che non reca contaminazioni melodiche o schemi tradizionali, alternando invece situazioni ora emozionali, ora visionarie, o aggressive, psichedeliche, sintetiche, dominate da una gelida cupezza di fondo.
I brani fluttuano tra momenti austeri e marziali, suoni più liquidi e lunghi passaggi meccanici, elettronica disturbante e desolata malinconia, disegnando scenari che recano in sé qualcosa di sfuggente, inafferrabile, ma asetticamente sinistro. Talvolta il rumorismo prende il sopravvento, ed allora pare davvero di scivolare nell’incubo dell’automatismo trionfante, tra geometrie chirurgiche e dissonanze asimmetriche.
I rarissimi interventi vocali, semplici declamazioni, servono soltanto ad accentuare il distacco dalla condizione umana, fisica, carnale, in direzione di una fredda e spietata logica impermeabile al sentimento.
I Deflore si possono forse collocare in una zona d’ombra tra la cerebralità del rock industriale e gli eccessi ossessivi della drone-music. Come detto, un lavoro difficile e riservato ai cultori del genere, ma non privo di un proprio fascino raggelante e particolare.
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