Dei Rage ho sempre apprezzato qualunque uscita, anche il power acerbo e sguaiato degli esordi e il tanto discusso "Ghosts", album cruciale della carriera artistica e della vita di Peavey Wagner, leader e fondatore della band. Ogni singolo tassello della carriera dei Rage rappresenta una piccola parte della sua vita, ed per questo che è pressoché impossibile avvicinarsi ai loro dischi senza conoscere tutto quanto c'è stato prima, o perlomeno farlo senza evitare di cadere in un'analisi superficiale. Da tre dischi ormai i Rage hanno cambiato completamente line-up, e stravolto nuovamente il sound, puntando sui tecnicismi fuori dal comune della coppia Smolsky/Terrana, uniti ad un buona dose di aggressività sulla scia di "Trapped!" e a quelle melodie che da sempre sono il punto di forza della band. Devo essere però sincero, dopo il buon "Unity" mi aspettavo un album diverso, come da tradizione Rage, che sono soliti scioccare con repentini cambi di sonorità da un disco all'altro; questo "Soundchaser" invece prosegue sulla stessa scia del predecessore, unendo un solido riffing a melodie più ariose nei refrain, un po' com'era per "Set the World on Fire". A mettere in chiaro le cose ci pensa subito "War of Worlds", con il suo ritornello un po' zuccheroso ma comunque ben riuscito, nella quale i Rage alternano momenti aggressivi degni dei grandi album del passato ad aperture catchy; lo stesso vale per "Defenders of the Ancient Life" o la bella "Sounchaser" (tra gli episodi migliori del disco). Come sempre largo spazio a Mike Terrana, solita macchina da guerra senza eguali nel metal (per gusto, tecnica e potenza), e a Victor Smolsky, dal quale mi aspettavo comunque solismi e riffing meno simili a quelli del disco precedente. Inutile dire che la produzione, ad opera ancora di Charlie Bauerfeind, è perfetta in tutto e per tutto, così come lo sono gli arrangiamenti di ogni singola canzone. Nel complesso questo "Soundchaser" è un signor disco, con tutti i requisiti giusti per piacere ad i fans dei Rage di nuova e vecchia data; le uniche cose che mi lasciano l'amaro in bocca sono alcune melodie un po' facili, lontane anni luce da quelle ricercate e geniali degli album del passato, e la eccessiva somiglianza stilistica con il suo predecessore. Ma davanti a canzoni quali "Human Metal" o "Secrets in a Weird World" (già, proprio come il titolo dell'ottimo disco del 1989) si può benissimo passare sopra a questa lagnanza da pignolo e continuare ad esaltarsi, dopo vent'anni ancora, ascoltando un disco firmato da quel geniaccio di Peavy e dai suoi intramontabili Rage.
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