L'attuale situazione in casa
Dimmu Borgir è strana, sotto svariati punti di vista. In primis: il drastico ridimensionamento della formazione, soprattutto dopo l'abbandono di Mustis dietro i tasti d'avorio e di ICS Vortex dietro al basso e alla voce pulita, due elementi che negli ultimi dischi avevano contribuito non poco alla fase di scrittura dei brani. In ultimo ci si è messo anche Snowy Shaw (Therion) ad entrare e uscire come se niente fosse, giusto per confondere ulteriormente le carte in tavola. In pratica l'attuale formazione si basa su Shagrath, Silenoz e Galder, il resto è frutto di mestieranti/mercenari (anche di lusso quando necessario) che vengono assunti per accompagnare la baracca, e per quanto mi riguarda questo modus operandi alla lunga comprometterà l'immagine stessa della band; già adesso sembrano un qualcosa di poco definito, di costantemente precario e mutevole, figuriamoci se continueranno così nei prossimi anni. Manca quel concetto di line-up solida (di gruppo!) che fino a qualche tempo fa li rendeva sicuramente più coesi agli occhi di chi li segue dagli esordi. Sostituire Mustis e ICS Vortex non è un'impresa facile, ma nemmeno fare finta di nulla e proseguire come se nulla fosse addossandosi tutto il processo di songwriting e di arrangiamento, ecco perchè all'annuncio di questo nuovo disco intitolato
Abrahadabra in parecchi devono aver tremato. Ammetto di essermi avvicinato al nono album in carriera dei Dimmu Borgir con un certo scetticismo, ma sono stato costretto in una certa misura, a ricredermi. Prima di tutto va detto che all'interno di Abrahadabra troverete tutto quello che è possibile aspettarsi da un cd dei Dimmu Borgir, proprio tutto, e in certi casi anche in maniera più marcata del solito; arrangiamenti sinfonici pomposi, ritmiche che spaziano dal marziale al veloce, voci maligne e filtrate, e per finire una produzione imponente e curata nei minimi dettagli. Quello che non riuscirete a trovare (almeno non nella misura di qualche anno fa) è un'ispirazione che coinvolga tutti i brani in scaletta. Un episodio fra i migliori per quanto mi riguarda è da rintracciare nel singolo
Gateways, canzone che spazia dalle tipiche accelerazioni Black Metal fino ad arrivare a soluzioni che flirtano con un certo Gothic Metal contemporaneo e in questo senso si fa valere la voce femminile che possiede un timbro particolare ma che ben si adatta nel complesso. Proseguendo è il turno di
Ritualist,
The Demiurge Molecule e
Renewal, tracce dove tutto quello che sentirete non possiede nulla di originale o innovativo, ma almeno si fanno apprezzare per degli arrangiamenti curati e per quell'aurea oscura/sinfonica che in definitiva è il loro trademark. E tutto il resto? Semplice: puro e ovvio mestiere, niente di più niente di meno, canzoni che i Dimmu Borgir avranno scritto si e no in 15 minuti a voler esagerare, e che magari provengono da scarti o intuizioni di quando erano ancora presenti Mustis e ICS Vortex, infatti sarà interessante vedere i Dimmu Borgir all'opera con il prossimo di album, un appuntamento che per quanto mi riguarda mostrerà il vero polso della situazione. Mi aspettavo di peggio, e invece sono riuscito a trovare soluzioni e spunti sicuramente più efficaci di quelli presenti nel precedente In Sorte Diaboli. Con Abrahadabra i Dimmu Borgir continueranno a vendere vagonate di copie, del resto hanno dato ai loro fans esattamente quello che si aspettavano di sentire, niente di più niente di meno. Non è più l'epoca delle sperimentazioni e delle innovazioni, adesso è tempo di tirare a campare, e oggettivamente questo lo sanno fare a dovere.
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