Prima di tutto: ma come diamine si può mettere sul mercato un album con dei così grossolani errori di produzione? Provate a sentire il timpano delle tracce n. 9 e n.5, per la precisione "Only Love" e "All I Want" (i brani in cui è più utilizzato): oltre ad un suono palesemente finto, come d'altronde il resto della batteria, è incredibile come il volume sia almeno di due volte superiore a quello di tutti gli altri pezzi della batteria, tanto da riuscire a coprire persino la chitarra ed il basso. Detto questo, cominciamo a parlare veramente dell'album. Per chi non lo sapesse James Byrd è una vecchia volpe della scena, un patito del grande Jimi che ha poi sterzato verso il neoclassicismo malmsteeniano imperniato sull'uso smodato della minore armonica e del bending esasperato; con questo nuovo album, dalla copertina sinceramente orribile, il buon James si ripresenta accompagnato da Micheal Flatters, altra conoscenza del genere, noto per la militanza nei Takara di Jeff Scott Soto. "Anthem" riprende quel discorso che era già stato ampiamente espresso nel precedente "Flying Beyond the 9", da cui recupera quel rock sinfonico vicino ai Queen di "A Night of the Opera" (che restano comunque inarrivabili) irrobustito qua e là da soluzioni e riffing di metal neoclassico. Qualitativamente l'album si mantiene sugli stessi livelli per tutta la propria durata, presentando songs apprezzabili che però alla lunga suscitano qualche sbadiglio, sia per i tempi ben poco sostenuti, che per la uniformità dello stile compositivo. James Byrd è un grande chitarrista, questo è indubbio, ma in questo lavoro sembra ridursi appiattendosi sui soliti standard, senza troppo osare, se non a livello di scelte di suoni come in "Killing Machine". Meglio del previsto, invece, la prestazione di Michael Flatters alla voce, che era parso acerbo nel predecessore e che si riscatta parzialmente in questo nuovo lavoro, pur senza far gridare al miracolo. Le buone idee non mancano in "Anthem", ma, diciamocelo francamente, arrivare alla fine dell'album è un'impresa titanica. Sia Hutchinson alle tastiere che lo stesso Byrd non aiutano molto in questo, per via di uno stile rifritto che non ha cali, ma nemmeno spunti particolarmente avvincenti in grado di farti sbalzare dalla poltrona d'ascolto, eccetto forse per "The Price of War", l'unica song teatrale e particolarmente ispirata del lotto. Insomma, un lavoro per i pochi patiti fans del guitar-hero statunitense, o al massimo per chi necessita di un forte rimedio all'insonnia. Chi invece non ha mai sentito nulla del buon James Byrd punti senza esitazione verso il passato, quello con gli storici Fifth Angel.
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