Vi piace l’hard-rock-blues? Il
groove del funk, il calore del soul e del R&B? Li apprezzate ancor di più quando sono interpretati da varie autorità del settore radunate per l’occasione tutte sotto lo stesso tetto? La coniugazione di tecnica irreprensibile, tonnellate di
feeling e di nomi celebri è per voi una forma irresistibile d’attrazione come lo è la luce della lampada per la falena?
No, non sto per parlarvi dei Black Country Communion (anche perché il loro ottimo debutto è già stato trattato su queste stesse colonne dall’esimio collega Quero, con il quale non posso che essere sostanzialmente d’accordo!), anch’essi perfetti nel caso di riscontri affermativi al questionario introduttivo, bensì di un’altra formazione dal notevole
pedigree, indaffarata nell’esprimere tutto il suo amore per i generi citati attraverso un esordio discografico.
Tale coalizione risponde al singolare appellativo de
La Famiglia Superstar e, a dire la verità, i suoi affiliati sono forse leggermente meno famosi e autorevoli dei colleghi responsabili della band segnalata qualche riga fa, pur fornendo senza pericolo di smentita, garanzie pressoché assolute di qualità e competenza.
Terry Ilous, redivivo cantante di fama XYZ (una band di livello, che ha pagato, forse eccessivamente, le affiliazioni con i
divini Dokken …), Marco Mendoza (Thin Lizzy, Whitesnake, David Lee Roth, Ted Nugent) e Atma Anur (Tony Macalpine, David Bowie, Richie Kotzen), non sono, infatti, dei
carneade del rutilante
rock circus, mentre effettivamente ai più il nome di Steve Saluto, a dispetto di una discografia piuttosto importante e valente (la sua ultima fatica, l’ottimo “Resurrection”, sempre patrocinato dall’Heart Of Steel Records, vede la partecipazione dell’ispirata laringe di Richie Kotzen, un musicista complessivamente assai vicino al nostro), potrà essere sfuggito ai meno enciclopedici dei
musicofili all’ascolto.
E’ sufficiente, tuttavia, ascoltare poche note di questo “La famiglia superstar” per rendersi conto della sua estrema abilità e della sua variegata cultura musicale, entrambe mai eccessivamente ostentate grazie ad una sensibilità imprescindibile per chi vuole essere convincente nell’affrontare linguaggi espressivi fortemente “spirituali” come quelli trattati nel Cd.
Rassicurati anche dalle doti
tecnico-vocazionali del chitarrista italiano, non rimane, dunque, che valutare il quadro complessivo, il livello d’intesa e di “affinità elettive” del team, anche sotto il fondamentale profilo compositivo, ed ecco che risulta davvero impossibile, se amate questi suoni, non rimanere
invischiati nel
mood al tempo stesso virile, vellutato e seducente del disco, che inizia con “Never enough”, un funky-hard dall’evidente propulsione emozionale adatto pure come la colonna sonora di un film di
blaxploitation (ricordate “Shaft il detective” e il suo “Theme from Shaft” di Isaac Hayes …), continua con le pulsazioni “Rain”, passa attraverso le prerogative acustiche della ballata “I miss you”, della bella “Closer”, della godibile trascrizione di “Here I go again” (dei maestri Whitesnake … se qualcuno non lo sapesse …) e della fascinosa “The wind”, cantata in francese da un eccezionale Ilous, e si conclude con “Visions”, uno strumentale grintoso, elegante, estroso e sicuramente non fine a se stesso.
In mezzo, parecchia altra “bella robetta”, all’insegna di una rivisitazione genuina e vitale di un universo che solo la superficialità di certi presunti
esperti musicali può definire superato e dogmaticamente nostalgico.
Insomma, se avete risposto con un caloroso SI all’interrogatorio introduttivo e quindi non potete fare a meno di Whitesnake (Moody / Marsden era, soprattutto), Trapeze, James Gang, Jeff Scott Soto, Hendrix, Mr. Big, Extreme … e avete già pure consumato come meritano le funamboliche magie targate Hughes-Bonham-Sherinian-Bonamassa, affidatevi con fiducia alla “Famiglia”, un’istituzione solida e accogliente, che almeno in questo caso non vi deluderà.