Quando nel 2016 uscì e fu recensito
Vampiro, ricordo che si instaurò un articolato e interessante confronto tra utenti del sito e del forum riguardo agli
Helstar.
Riassunto male, il punto era: band che non ha mai ricevuto il riconoscimento che avrebbe meritato o che non aveva mai ricevuto questo riconoscimento perchè forse non lo merita(va)?
Ora, non è mia intenzione né mia ambizione mettermi qui a fare un excursus sulla storia del gruppo, su quello che ha o non ha raccolto, sulle sue (s)fortune più o meno alterne.
La mia unica volontà in questa sede è quella di rendere omaggio ad un disco che, oltre ad essere stato pubblicato nel 1989 e che già dal titolo si pone a tutti gli effetti nella posizione di progenitore del suddetto Vampiro, è oggettivamente una cannonata.
"
Di oggettivo a questo mondo non c'è nulla", potreste obiettare voi, e io vi risponderei: in linea di principio avete ragione, una recensione in fin dei conti esprime un'opinione (si spera attendibile) e in quanto tale ci muoviamo nel campo del soggettivo.
Va però detta una cosa: se siete su Metal.it si suppone che i vostri ascolti siano in un certo qual modo orientati nella nostra direzione; e, se state leggendo queste righe, avete quanto meno sentito nominare gli Helstar e probabilmente apprezzate il loro (sotto)genere di riferimento, ossia l'U.S. power (che niente ha a che vedere col power europeo di
Helloween e
Stratovarius, ma questo di sicuro già lo sapete).
Ecco, se le cose stanno così a
Nosferatu non può non essere riconosciuto lo status di ferreo caposaldo, di (luminosa?) stella polare, di paradigma inamovibile di questa corrente troppo spesso collocata in secondo piano in rapporto alla fedeltà che ha espresso nei confronti degli stilemi del metallo più classico e puro.
Veloce e allo stesso tempo pesante come nemmeno un treno lanciato in corsa, tagliente e feroce al pari di una lama seghettata, mirabile unione di spigolosità e melodia in cui riff intensi e serrati, assoli al fulmicotone, ritmiche di batteria toste e variegate e (pochi) momenti di pausa sapientemente dosati tengono l'ascoltatore in continua tensione, questo album trova la sua sublimazione nelle vocals acide e maligne di
James Rivera, da sempre fulcro imprescindibile del gruppo.
La capacità di declinare la sulfurea teatralità che si trova in tutte le 11 tracce mantenendo un magistrale equilibrio tra i vari ingredienti consente a Nosferatu di ostentare la sua oscura bellezza senza sconfinare in una facile e tentatrice pacchianeria; qui dentro è racchiuso esattamente quello che la leggendaria copertina anticipa e promette: 43 artiglianti minuti di acciaio inossidabile, concepito, suonato e cantato ai più alti livelli.
Recensione a cura di
diego
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