Si sarà capito che non mi piacciono le raccolte di cover precisamente identiche agli originali, che ritengo un esercizio fine a sè stesso.
Nello specifico, se desidero ascoltare la storica “Ain’t talkin’ bout love” così come è stata composta spolvero il primo vinile dei Van Halen e lo piazzo sul giradischi. Se per malaugurata ipotesi non ce l’avessi, vado in un negozio e lo acquisto perché si tratta di un grande album. Quello che non mi verrebbe mai in mente di fare è procurarmi la versione tarocca dei Jet Black Joy, con tutto il rispetto per questo gruppo.
Questo è il più debole tributo che mi sia capitato ultimamente. Le canzoni sono pescate a casaccio dalla produzione Van Halen dell’era Roth e di quella Hagar, ma anche dai lavori solisti dei due cantanti e questo davvero non si spiega, neanche scarseggiassero brani eccellenti di questa storica formazione. Gli interpreti saranno pure antiche glorie rock, ad esempio George Lynch (Dokken, Lynch Mob) e Jimmy Crespo (Aerosmith, Rod Stewart), ma di sicuro non molto popolari di questi tempi, e quando il nome più conosciuto resta quello dei coloriti Enuff Z’nuff c’è di che preoccuparsi.
Non è stato dato sufficiente rilievo all’indiscussa classe hard rock espressa dai Van Halen nei primi anni di attività, per inserire come già detto brani non memorabili del repertorio personale di Roth e Hagar.
Le cover sono fotocopie prive del minimo spunto autonomo e l’atmosfera è di generale piattezza, per onestà l’unica che mi ha dato un accenno di emozione è la versione schitarrata ed alcolica di “Take your whiskey home” dei southern-rockers American Dog. Un consiglio, se ci tenete a sentirla aspettate che la inseriscano come bonus in un loro album.
Stavolta mi tocca scendere sotto il solito sei politico, perché i Van Halen meritavano ben altro tributo che questa moscia antologia.