Secondo disco per gli svedesi
Darkwater, che per l'occasione pescano il bassista
Simon Andersson dai Pain of Salvation, per poter fornire al nuovo disco una base ritmica ancor più solida. Quello a cui ci troviamo davanti, ascoltando "
Where Stories End", è il classico prog-metal scandinavo; per darvi qualche riferimento, citerei gli Evergrey, sebbene ci siano spesso aperture più ariose alla Vanden Plas, e sebbene i riferimenti ai capostipiti Dream Theater siano, giocoforza, immancabili. Nove canzoni, per una media di minutaggio intorno ai sei minuti, ci forniscono un interessante indizio sulle intenzioni della band, che non si allontana troppo dalla struttura-canzone, forse per paura di perdersi in territori strumentali o strutturalmente più complessi che, al momento, non si sente in grado di sostenere. Una inconscia ammissione di umiltà che il vostro Sbranf gradisce molto, soprattutto se quel che resta sono canzoni godibili e ben suonate, come i nove brani, nessuno escluso, di questo platter. Cosa manca, dunque, ai Darkwater per fare il famigerato salto di qualità, ed imporsi sulla scena metal internazionale? Forse giusto un pelino di originalità nella stesura dei brani, che somigliano a tanto già ascoltato, e difficilmente ti fanno alzare il sopracciglio, per la curiosità o la soddisfazione. Sembra quasi che i ragazzi preferiscano scommettere su un titolo azionario a basso rischio, assicurandosi un buon album prog-metal, senza rischiare il discone né, tantomeno, il flop clamoroso. E così sia, dunque: "
Why I Bleed" è un bellissimo mid tempo, roccioso e sofferto, suonato divinamente, "
A Fool's Utopia" parte in punta di pianoforte, per rivelarsi uno dei brani più coinvolgenti dell'intero lotto, complici anche dei suoni davvero ben fatti, soprattutto per la batteria ed il basso. "
Queen of the Night" spinge un pò sull'acceleratore, ricordandomi un pò i Conception. Da sottolineare come i brani siano letteralmente infarciti da suoni di tastiera, finalmente non scontati e banali, sebbene il lavoro continui a poggiare su solidissimi riff, e su parti prettamente power intarsiate di stacchi prog, che nei loro momenti più
riffosi mi rimandano alla mente gli ultimi lavori di Petrucci e soci.
Un album gradevolissimo, insomma, anche se non imprescindibile. A me non dispiace, e a voi?