Lance Keltner è un giovane chitarrista di Austin, Texas, considerato un’astro nascente del southern rock-blues, al quale è stato affidato il difficile compito di portare nuova linfa in una scena che tende purtroppo ad incanutire. I suoi precedenti lavori, soprattutto “Last of the cowboy vampires”, sono stati ben accolti dalla critica non soltanto Usa, anzi in Germania e nel Nord Europa, zone sempre ricettive per questo tipo di rock, l’axeman vanta un nutrito seguito ed infatti il nuovo album esce per la Ulftone, label con sede a Berlino. Il sound di Keltner, il quale per il songwriting si avvale della collaborazione di Mark Younger-Smith (ex Billy Idol band), si rivela discretamente originale e personale perché, pur non deviando oltremisura dai canoni del genere, propone marcate influenze hard rock vicine agli AC/DC più groovy ed una costante ricerca di un beat easy-listening che ridìa freschezza alle abusate atmosfere di Allman, ZZTop e compagnia. In questo senso vanno perdonate dai puristi alcune invasioni di sampler elettronici (non eccessive) e radiofonici all’interno di tracce altrimenti pigramente anonime, in tal modo ravvivate e spinte sulla strada di un rock ritmato con qualche ambizione da classifica (“Way of my people”,”Groove thang”). Il chitarrista è comunque sempre uomo del Sud con lontane origini pellerossa, impregnato di umori old-style ed il suo meglio lo conserva per i momenti più tradizionali come il caldo blues notturno “Streets of New Orleans” ed i fulminanti southern rock “Devil and the deal” e “Ride the white horse” i quali non avrebbero sfigurato su un vecchio album dei Blackfoot o di Reggie Knighton. Mi piace molto notare il profilo sobrio attuato da Keltner che non pavoneggia la propria tecnica dove molti altri ignorerebbero volutamente che larga parte degli appassionati gradisce ascoltare canzoni non saggi di conservatorio, e quindi limita i propri ottimi interventi di scuola Hendrixiana allo stretto necessario lavorando invece molto sulla stesura, sui riffs e le melodie dei brani. Curiosa, infine, la conclusiva “When the road is cold” primo tentativo nella storia, solo in parte riuscito, di fondere un retro-blues alla Robert Johnson con scampoli di drum’n’bass! Questo per dire che siamo di fronte ad un lavoro sufficentemente fresco e godibile, omogeneo, che non sbalordisce ma neppure annoia e che garantisce una buona scelta per chi apprezza sonorità rockblues non eccessivamente impegnative.
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