Frequentando un po’ l’
underground musicale italiano (e non solo quello, a dire la verità) è piuttosto agevole rendersi conto di quanta “gente” sia in grado di tradurre in note, con la
dovuta competenza, idee anche abbastanza interessanti tramite, però, regole operative
troppo sfruttate.
Non dico che sia un’impresa facile essere
assolutamente originali, ma penso che la personalità e il temperamento, anche in un ambito stilistico circoscritto e con modelli assai
vividi e influenti, dovrebbero senz’altro fare parte del bagaglio artistico di una “nuova” band.
Prendete questi
Lustagroove, “giovane” e ambiziosa formazione della provincia di Teramo, al debutto autoprodotto con questo “Sonny”, addirittura un impegnativo concept “[…]
sulla vita di mille uomini qualunque racchiusi dietro una maschera neutra teatrale […], riprodotto attraverso le vicende di un individuo alle prese con il suo travagliato percorso esistenziale: è innegabile che la loro prova si faccia notare per la voglia di comunicare, per il gusto estetico (curato e suggestivo l’artwork dell’albo), per un’apprezzabile attitudine poetica e visionaria e pure per una certa brama di “distinzione”, ma il tutto si traduce poi in un’esibizione vagamente
discontinua e al momento eccessivamente dipendente da Pearl Jam e Red Hot Chili Peppers (di cui sono stati in passato una valida tribute-band), sul versante
estero, e da Timoria, primi Negramaro e persino (in taluni passaggi di pop-rock
settantiano “all’italiana”) da Le Vibrazioni, sotto il profilo
nazionale.
Eh già perché i Lustagroove amano esprimersi mescolando gli idiomi (anche all’interno dello stesso brano), un’altra circostanza vagamente “preclusiva”, dal momento che quando sfruttano l’italiano, risultano un po’ criptici e manifestano alcune incertezze metriche e allorché scelgono l’inglese, accrescono, oltre all’efficacia, anche l’effetto del
dejà entendu.
Eppure il disco è tutto sommato piacevole, animato dalla convinzione di un gruppo che sa scrivere canzoni di sufficiente qualità (spiccano la liquida “Flashback”, le nevrosi funky di “Beauty in public garden”, la bella e cangiante “From Mercury to you” e ancora “Istante nella notte di un amante”, “Nero a lame” e la pregevole “La notte e l'assassino” il mio pezzo preferito dell’intero programma, dove la madrelingua s’incastona con precisione in un’architettura sonora davvero seducente e magnetica), ha una buona tecnica individuale (menzione speciale per il chitarrista Marvin Angeloni), una discreta affinità collettiva e riesce a esibire un pratico compromesso tra forza d’urto, tensione, rumore, malinconia, passione e accessibilità, tutti aspetti che rendono il Cd un prodotto appetibile per chi è fondamentalmente affezionato ai suoni del grunge e dell’alternative
nostrano e si considera appagato da una legittima reiterazione di certi temi molto coinvolgenti e altrettanto familiari.
Sinceramente ritengo che i Lustagroove sbaglierebbero nell’accontentarsi di non aggiungere
nulla (o quasi) al quadro globale dell’
arte contemporanea, poiché i mezzi per contribuire fattivamente alla
causa s’intuiscono abbastanza consistenti. Attendo buone notizie …