Exene Cervenka, quarantenne cantante e chitarrista, è stata in passato il motore di una delle più acclamate punk band statunitensi: gli “X”. Questa formazione ebbe il suo momento di gloria nei primi anni ’80 con la pubblicazione degli albums “Los Angeles” e “Wild gift” per essere successivamente trascinata nella dissoluzione del movimento punk, genere minato dal pressapochismo e dalle esigenze dell’industria musicale. La vocalist americana non ha per questo rinunciato ad esprimere le sue voglie artistiche ed in anni recenti ha dato vita a svariati progetti, non limitati solo alla musica, arrivando fino alla pubblicazione di un libro ben accolto dalla critica (“A beer on every page”). L’ambizione di riproporsi nella sua veste principale è diventata adesso irresistibile, per cui Exene ha deciso di formare questo nuovo gruppo che vede tra le sue fila elementi del sottobosco underground come Kim Chi e Mat Young entrambi ex-Distillers. Ne viene fuori il presente breve debutto composto da una decina di canzoni più un paio di microscopici brani strumentali che passano senza lasciare traccia. Strutture semplici ed easy-listening quelle offerte dagli O.S., a metà strada tra il puro rock’n’roll ed il surf-punk, stile prevalentemente americano che amalgama melodie pop ad un’impianto punkeggiante incruento e scevro da ogni connotazione politica o sociale. Non stupiscono quindi i tentativi catchy di “Bringin’me down”, con i caratteristici cori dissonanti trademark della Cervenka qui in coppia con l’altra femmina del gruppo, e neppure della meno brillante “Pretty” visto che il progetto è quello di creare una sorta di ibrido pop-rock-punk da esibire senza timore anche di fronte ai genitori dalla mentalità più ristretta, nulla che possa allarmare i moralisti. Non mancano comunque brevi sferzate di energia anarcoide (“Birds & bees”), nervature bluesy (“River city” “Aluminum flavored honey”) che risultano le migliori del lotto, e perfino accenni alla tradizione country (“Whiskey for supper” “Woke up this mornin”) che con rapidi passaggi di slide-guitar non riescono a scrollarsi di dosso un alone piuttosto insipido. La voce lievemente nasale della cantante, ovvio fulcro dell’album, viene impiegata per liriche banalotte ed innocue che vertono su problemi di cuore, vita di coppia, romantici struggimenti sentimentali, ed incrementano la sensazione di leggerezza festaiola del lavoro. Un dischetto che scivola via veloce e lieve, senza trovare l’hit vincente e senza evidenziare il mordente che ci si aspetterebbe da chi ha vissuto in prima persona l’epoca caotica e provocatoria del punk. Un ritorno, quello della Cervenka, forse poco meditato e guidato dall’impulso di cogliere il momento di riflusso di certe sonorità, in concreto un’album messo giù in fretta e niente più che mediocre.
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