Questo album degli
Agrypnie è il classico esempio di come non bisogna mai avere dei pregiudizi quando ci si appresta a recensire un disco. Sì, lo ammetto, non nutrivo particolari aspettative prima di iniziare l’ascolto di “16[485]”, invece fin dalla prima traccia, che segue “Figure 109-3”, un’intro ai limiti dell’ambient, ho dovuto ricredermi. Chiariamo subito un punto, però… parlare di black metal per gli Agrypnie è decisamente e assolutamente riduttivo. Se è vero che le basi sono ben radicate nel genere più nero del metal, è altrettanto vero che sono soltanto un punto di partenza per la definizione di un sound che definire personale è dire poco. Il tanto abusato ‘extreme metal’ penso che si adatti bene alla proposta del combo tedesco, in quanto di questo si tratta, di metal estremo che non si pone particolari limitazioni. E se lo screming e i blast beat che di tanto in tanto irrompono per enfatizzare ulteriormente una porzione di brano particolarmente violenta possono far pensare al black metal, appunto, le aperture melodiche, malinconiche, gli arpeggi, le parti dilatate, e anche gli attacchi ai limiti del death, contribuiscono a creare delle canzoni che fanno dell’originalità il loro punto di forza. “16[485]” è un album oscuro, pieno di atmosfere decadenti e depresse, dove rabbia e malinconia si rincorrono e si intrecciano come se l’una non potesse fare a meno dell’altra, in un connubio che colpisce nel profondo l’anima di chi ascolta. E la monoliticità dei brani, per una volta, non rende l’ascolto difficile o noioso, ma, anzi, rende il tutto più avvolgente e convulsivo. La proposta degli Agrypnie, come avrete capito, è molto emozionale, coinvolge e stravolge, di certo non lascia indifferenti. E questo grazie ad un sapiente lavoro compositivo, oltre che a scelte intelligenti, come quella di evitare l’uso delle voci pulite nelle parti più melodiche e delicate, proprio per non far perdere ai brani quel tocco malvagio che li pervade, per non far calare la tensione e il pathos che le canzoni sprigionano, e in questo l’uso della lingua tedesca aiuta decisamente, rendendo il tutto ancora più marziale. E se di tanto in tanto esce fuori qualche brano più violento degli altri, come per esempio “Zorn”, questo di certo non stravolge il sound del disco, che continua a muoversi su sentieri black metal meno violenti e scontati, più epici, più depressivi, a volte anche progressivi, ma non per questo meno neri e malvagi. Cos’altro aggiungere? È davvero incredibile il grado di maturità raggiunto dalla band con questo suo terzo album. Oggi come oggi penso che non sia davvero da tutti uscirsene con un album personale, che non suoni già sentito. Beh, a modo loro gli Agrypnie ci sono riusciti, spiazzandomi completamente e spazzando via tutti i pregiudizi di cui parlavo in apertura di recensione. “16[485]” farà parlare di sé, e se così non succederà sarà soltanto per l’ignoranza cronica del popolo metal. Se non siete blackster accaniti e coi paraocchi dategli più di una chance, perché se lo merita assolutamente.
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