Copertina 5

Info

Anno di uscita:2010
Durata:40 min.

Tracklist

  1. LIFT ME OUT
  2. SHOW ME YOUR WINGS
  3. STONE
  4. NELSON
  5. WHITE AS PEARLS
  6. 52 DAYS
  7. WOULD IT BE EASIER
  8. CAUSE I MATTER TO YOU
  9. CLOSE TO LOSE IT ALL
  10. NOWHERELAND
  11. SEE WHAT WE HAVE DONE

Line up

  • Anton Ericsson: vocals, guitar
  • Andreas Ericsson: guitars
  • Thomas Engvall: bass
  • Ida Svensson: piano, keyboards, organ
  • Thorbjön Bergkwist: drums

Voto medio utenti

Oggi sottopongo alla vostra attenzione quest’interessante esperimento scientifico-musicale: prendete un gruppo di musicisti di belle speranze, facce pulite e tratti somatici tipicamente nordeuropei, diciamo svedesi, sostenuti da un’autorevole ispirazione divina e contraddistinti da relativo monicker di provenienza biblica (dal Libro della Rivelazione).
Immaginate che siano letteralmente innamorati dell’alternative british pop di Coldplay, Keane e Blur, che non disdegnino fugaci puntate nei territori frequentati dai Muse e che non siano del tutto insensibili a quanto realizzato dai “cugini” Mew e dai “genitori” Kent.
Bene, ora lasciateli comporre le loro melodie malinconiche, estremamente accondiscendenti e pure un po’ stucchevoli, prive di una spiccata personalità, eppure tutto sommato piacevoli, soprattutto quando non si esagera nel tasso glicemico.
Infine, fate interpretare quelle linee armoniche ad un vocalist incapace di assecondarle adeguatamente, con una timbrica poco passionale e spesso dissonante, asfittica, angusta e “fuori fuoco”, in estrema sintesi un cantante mediocre e un talvolta pure un po’ “stonato”, per tutti quelli che non amano la sottile arte dell’eufemismo.
Il risultato finale di tale temibile miscela sono i Bright Morning Star Orchestra e il loro “Lift me out”, un dischetto che grazie a talune felici intuizioni melodiche e ad un gusto nella scrittura “condizionata” di discreto livello, avrebbe potuto consentire ai nostri scandinavi d’ingrossare con dignità le fila dei tanti frequentatori del settore, ma che alla fine vede invalidata questa comunque non esaltante prospettiva proprio a causa di una prestazione canora francamente troppo approssimativa (un esempio per tutti, “White as pearls” … ai confini dell’irritante) e di arrangiamenti vocali invero anch’essi complessivamente abbastanza fragili.
Per tentare di emulare fino in fondo i propri idoli urge prima di tutto una pronta taratura del cantato, mentre per aspirare a qualcosa di più è poi necessaria l’aggiunta di un pizzico di temperamento … gli auguri sono come sempre d’obbligo.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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