I
Big Guns sono italiani, di Treviso per la precisione, ma se non fosse per una pronuncia inglese leggermente deficitaria, potrebbero tranquillamente passare per uno dei tanti gruppi americani o scandinavi innamorati dei
marciapiedi degenerati del Sunset Strip anni ’80 e tuttavia ben consci che quell’epoca
leggendaria e
maledetta è irrimediabilmente passata e difficilmente potrà ritornare.
Anzi, dirò di più … lo street metal dei veneti è talmente impetuoso, graffiante ed effervescente da collocare la band ai vertici di quella schiera di formazioni emergenti (con l’
Italietta ben rappresentata … è doveroso sottolinearlo) cresciute con Motley Crue, L.A. Guns, Guns n’ Roses, e Skid Row costantemente nelle orecchie e che conoscono altrettanto bene le mosse di chi ha saputo “aggiornare” al meglio quei suoni e quell’attitudine, in un percorso musicale e genealogico che va dai Crashdiet fino agli Innocent Rosie e ai Vains Of Jenna, passando per Buckcherry, Beautiful Creatures, Space Age Playboys e Velvet Revolver.
In poche parole, sound consolidato e una freschezza capace di allontanare quel fastidioso senso di
revival stantio che renderebbe il quadro complessivo più vicino al “tributo” che ad una proposta artistica di levatura superiore.
E pensare che in qualche modo i Big Guns “appartengono” proprio a quel “mondo” (essendo stati in passato proprio una valida cover-band degli Skid Row), ma evidentemente il tutto è poi stato propedeutico, nel momento di una rischiosa esposizione “in prima persona”, al consolidamento di una sorprendente esibizione che ha nel rigore formale un solido contrassegno di “fedeltà” stilistica e affida alla verve e allo slancio compositivo il ruolo di classici valori aggiunti.
Look e
nicknames da “copione”, tecnica affidabile, spregiudicatezza, chitarre sporche e taglienti, linee melodiche ficcanti e dirette e una voce piacevolmente Bach-
iana, costituiscono i dati salienti di un disco davvero godibile e talmente “professionale” da farti
quasi dimenticare che si tratta di un’autoproduzione.
Dimenatevi e sgolatevi con le turbolente viziosità di “’Tween pleasure and addiction”, "No compromise” e “Wake up” (dagli accenti piuttosto Crue-
esque, invero), lasciate “Prisoner of my way” e la notturna “Trash dead city” insinuarsi subdolamente nei vostri sensi raggiungendo l’epicentro dell’approvazione, sudate al fremente ritmo r’n’r di “Next tuesday”, abbandonatevi alle brillanti romanticherie metropolitane di "Ticket to L.A.” o consegnatevi alle scorie punk e alla fisicità oltraggiosa e liberatoria di “Slave to the vice” e non potrete che convenire con me che riservare una particolare attenzione e concedere una chance discografica “importante” alle nostre fumanti “Pistolone” risulta praticamente un imperativo.
Youth gone wild …
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