Arroccati ad un riff roccioso, che riecheggia "Cat Scratch Fever" di Ted Nugent, i
Warcry creano un'opener, "Pure Force of Steel" (un atto di riverenza alla loro etichetta?), che passa dal più classico Heavy Metal sino a quelle sfuriate thrasheggianti che si riveleranno il perno su cui si muove tutto il loro universo musicale, che si mantiene spigoloso e roccioso anche nelle canzoni successive, da "In Battle for Vengeance" e "Awakening the Cemetary" (dove i Warcry hanno un approccio quasi Death che provano a mediare con un'intro melodica ed alcune vocals epicheggianti) fino alla conclusiva "Banshee", probabilmente il brano meglio riuscito di questo album, il secondo per i Warcry dopo l'esordio "In Battle for Vengeance" (2008).
A tanta potenza non corrisponde, però, altrettanta fantasia compositiva, ed appaiono evidenti alcuni limiti, come quelli nel cantato e nel solismo (quest'ultimo evidente ad esempio su "Bloody Black Axe" o su "Knights of the Dark Blade"), ma anche a livello di registrazione, nell'occasione caotica e gracchiante.
Per quanto "Infernal Triumph" si snodi tra Mercyful Fate ed i greci Flames (quelli dell'esordio "Made in Hell"), non credo di prendere chissà quale cantonata andando ad inquadrare i Warcry come un punto d'incontro tra Venom, Sacred Steel e gli Omen… peccato che non ne abbiano colto i momenti migliori.
Ed a proposito degli Omen, ecco che scorrendo la tracklist si incappa nella loro "Death Rider" (dall'imprescindibile "Battle Cry") qui coverizzata in maniera piuttosto approssimativa, seppur con il loro ex cantante George Call (anche negli Aska), venuto ad affiancarsi a Martin 'The Almighty' Knötzele.
Uno dei pochi colpi non riusciti per la Pure Steel.
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