I
Benedictum tagliano agevolmente il traguardo del terzo album, superando indenni un piccolo terremoto a livello di formazione che ha visto tener duro (ed il posto…) solamente la cantante Veronica Freeman ed il chitarrista Pete Wells.
Si tratta comunque dei due musicisti che sono sempre stati, ed ora lo confermano, il fulcro su cui ruota l'universo musicale dei Benedictum, che nell'occasione rifuggono ogni svolta melodica o commerciale, e finiscono, anzi, per accentuare gli aspetti più incisivi ed aggressivi, quelli che già nel disco d'esordio si erano prepotentemente messi in evidenza con "Two Steps to the Sun", e che poi nel successivo "Seasons of Tragedy" si erano ritagliati spazi ancor più importanti.
Qualche richiamo ai Judas Priest ("At the Gates") Vicious Rumors o Metal Church ("Seer", "Dark Heart") ed in misura minore agli Anthrax ("Grind It" e "Bang") non toglie un'oncia di valore ad una formazione che continua a non adagiarsi sui risultati finora conseguiti, che continua ad alzare l'asticella, evitando il sentiero più agevole e compiacente per indirizzarsi ad un percorso musicale intricato e decisamente poco immediato, al quale i Benedictum si rifanno anche in occasione della power ballad "Loud Silence" o della spaziale "Epsilon", con il suo approccio spiccatamente (grazie sopratutto alla prova di Tony Diaz) seventies.
Vista la loro
antica propensione per le covers, scoprire nella tracklist titoli come "Prodigal Son" e sopratutto "Sanctuary", peraltro inserita come bonus track, poteva (ed ammetto: c'erano quasi riusciti!) lasciar intendere che fosse giunto il turno degli Iron Maiden, invece si tratta di semplice omonimia e la scelta cade, un po' a sorpresa, sui Rush, dei quali recuperano, ad onor del vero più che discretamente, quelle "Overture/The Temples of Syrinx" che aprivano "2112".
Altra scelta tutt'altro che ordinaria e di comodo.
Evidentemente ai Benedictum non
piace vincere facile!Ma ci riescono... e per la terza volta consecutiva.
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