Lo ammetto, non sono mai stato un gran simpatizzate del folk metal. Questo perché, per la mia personalissima visione dell’universo musicale, preferisco che la musica tradizionale rimanga tale, e quindi venga suonata con strumenti tradizionali. Gli innesti di chitarroni distorti o sfuriate di doppia cassa mi snervano nel 90% dei casi, ma, ovviamente, resta una mia personalissima opinione. Superato questo mio blocco, la cosa che mi ha fatto avvicinare ai
Dalriada, che fin’ora, lo ammetto, ignoravo, è che i nostri provengono dall’Ungheria. La curiosità, quindi, di ascoltare in che modo il gruppo avesse inserito le melodie gitane tra riffoni più propriamente metal era parecchia. Purtroppo in parte sono rimasto deluso, perché pur restando fedeli all’utilizzo del cantato in lingua madre, a parte qualche innesto di violino più tipicamente zingaresco, per il resto i nostri si rifanno alla tradizione celtica, quindi anche alle melodie proprie di quelle terre. D’altra parte solo approfondendo la loro conoscenza sono venuto a sapere che Dalriada è il nome con il quale si indica l’antico regno che andava dalle coste settentrionali dell’Irlanda a quelle occidentali della Scozia. Deluso, quindi, in parte, da questa cosa, mi appresto all’ascolto del cd, peraltro il quarto in soli cinque anni dal cambio di nome (in origine la band si chiamava Echo of Dalriada, ed ha pubblicato due album con questo moniker). Decisamente prolifici i ragazzi, ma altrettanto poco attenti all’aspetto grafico dei loro lavori, che presentano, penso in assoluto, alcune tra le copertine più brutte che abbia mai visto in vita mia. “Ìgéret”, peraltro, segna il passaggio alla AFM Records, dopo cinque album licenziati dalla Hammer Music, e fin dalle prime note possiamo notare come la band abbia fatto le cose per bene anche per quanto riguarda la produzione, cristallina e potente al tempo stesso. E dal punto di vista musicale, invece? Se del lato più folkloristico si è già accennato, per quanto riguarda quello più metal i Dalriada viaggiano a cavallo tra sonorità più strettamente legate ai canoni del folk metal, ed altre più propriamente power. Ed è quando spingono troppo verso queste ultime che il rischio di imbattersi in melodie esageratamente orecchiabili e stucchevoli diventa assolutamente concreto. Ascoltate l’opener “Hajdùtànc” per capire di cosa parlo. Detto ciò, i brani scorrono via abbastanza bene, si fanno ascoltare con piacere, sia quelli più folleggianti (la title track), sia quelli più epici (“Leszek a calling”), sia quelli più power (la già citata “Hajdùtànc”), senza che manchi qualche episodio più oscuro, per fortuna, come nel caso di “A hadak utja”. Da segnalare, inoltre, la presenza in veste di guest vocalist di Jonne Järvelä dei finnici Korpiklaani, che presta il suo vocione a “Leszek a hold”, alternandolo a quello più aggraziato e celestiale della singer Laura Binder e quello più arrabbiato del drummer Tadeusz. Insomma, “Ìgéret” è un buon disco che non necessariamente piacerà solo agli amanti del folk. Ha le carte in regola per poter abbracciare una fascia più ampia di ascoltatori. Personalmente avrei evitato qualche melodia stucchevole di troppo (a volte sembra di ascoltare il tipico brano sanremese con qualche chitarrone distorto sotto), ma soprattutto avrei evitato di abbracciare musiche e tradizioni non di appartenenza, a maggior ragione quando si proviene da una regione, quella dell’est europeo, così ricca di storia, melodie gitane e quant’altro.
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